E così il ritorno ai Lidi tra salvifici temporali e frescure umidicce si è concluso dopo un caotico e terrificante viaggio di ritorno. Come cantò il Poeta “stessa spiaggia, stesso mare”, davanti a me i dannati della terra esibiscono ancora per la gioia di cicciute dame la loro mercanzia proibita e ormai non più controllata. E più strabordano le damazze e più si provano i ‘cenci’ che vengono loro esibiti con targhe mirabolanti naturalmente false.
Se è vero che Ferrara e il suo territorio sempre più assumono le prerogative di luoghi del silenzio di carducciana e dannunziana memoria tra silenti raduni per assistere alla definitiva perdita della banca di riferimento dove nessuno più, secondo la mia teoria dei ferraresi ‘smangoni’, s’assume il compito almeno di protestare o gli urlati proclami degli sfracelli sanzionatori del sindaco di Comacchio ormai passati nel silenziatore più assordante, tento di fare un piccolo riassunto di cosa sia diventata Ferrara sempre più ‘Ferara’.
Un esempio classico del degrado e della pericolosità a cui lentamente sembriamo fatalisticamente rassegnarci. Un odore nauseante mi ha svegliato questa notte. Ho pensato a qualche fuga di maleodoranti gas poi stamane la verità più semplice. Gli eroi delle notti libertine: bianche, rosa o di qualche altro colore che sollevano le braccine scatenandosi nelle loro mossucce e nella loro falsa libertà d’interpretare la giovinezza tra un urlo e un rutto hanno incendiato i cassonetti della spazzatura e così stamane l’umiliante vista dei poveri eroi di queste malnate serate, i vigili del fuoco, che spegnevano gli ultimi focolai, e pulivano e nascondevano il danno per non offendere tra puzze e rifiuti la delicata sensibilità dei villeggianti.
Frattanto arrivano i rumors dell’assemblea della ‘banca di riferimento’ dove le pecorelle condotte al pascolo di azioni ormai carta straccia affrettano il passo per lasciar libera l’ultima fase della ‘deferarizzazione’ della Carife. E che commenti dotti, seri, meditati e lievemente sofferti giungono dalle ‘auctoritates’ che tutto negano e tutto oracolarmente viene presagito!
E il silenzio, come un coltre del medesimo odore dei cassonetti bruciati, avvolge il tutto e tutto coinvolge negli annunci urlati di qualche poveretto che invita a qualche danza o a qualche partita di racchettoni.
Il grande Massimo (leggi Gramellini) invita dalle pagine di Tutto libri della Stampa di Torino alle letture sotto l’ombrellone. Una straordinaria analisi del perché non si può leggere in nessun modo in spiaggia. Dubito poi dell’interesse dei miei vicini di sdraio o di lettino a coltivare questo passatempo in quanto non vedo circolar carta se non quella che avvolge il panino mentre tutte le mani si protendono a scattar selfie o a immortalare il/la vezzoso/vezzosa che siede loro al fianco.
Scrive Gramellini “Piccoli teppisti travestiti da bambini che strillano e movimentano la sabbia a mezzo metro dal tuo rifugio letterario. Gli altoparlanti del bar che a intervalli regolari annunciano la scomparsa purtroppo solo momentanea, di uno dei teppisti. I loro fratelli maggiori che obbligano l’intero stabilimento e le spiagge adiacenti ad ascoltare le orribili hit spagnoleggianti dell’estate , ignari dell’esistenza di un ritrovato della modernità chiamato ‘cuffie’.” (La Stampa, 1 agosto 2015).
E non si creda che l’analisi sia applicabile a qualche spiaggia particolare bensì a tutte le spiagge e spesso nei giardini montani.
Sono uno snob? Forse sì, ma ancora attento alle virtù civili dei gesti che rivelano come ormai siamo ridotti. E’ il caso della signora di novantatrè anni legata e lasciata forse a morire per una catenina d’oro e che solo il sospetto di un vicino ha salvato da morte certa.
Snob per rifiutare i grandi eventi e pensare che la cultura italiana si salva solo con l’ordinaria amministrazione.
Snob perché rifiuto di credere che le sovrintendenze siano affidate alle prefetture.
Snob perché come scrive Ermete Realacci sull’Unità credo che l’Italia, patria della bellezza, possa produrre risorse con l’arte e la cultura.
Ma purtroppo non più snob per riflettere che, per effetto paradossale, l’Italia non ha ancora trovato il modo di mettere a frutto questa bellezza che sembra soffocarci per troppo ingombro di responsabilità.
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Gianni Venturi
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