Sempre più mi risuona nelle orecchie il celebre motivetto “Vengo anch’io? No tu no. Ma perché? Perché no!” a commento della querelle innescata dal dottor Vittorio Sgarbi. E così la silente città si riempie di sussurri e grida. Perfino nel favoloso concerto diretto da Gatti con la Malher Chamber Orchestra, durante l’intervallo, pastori e pellegrini mi s’accostavano per sapere il mio parere. Invano continuavo e continuo a ripetere che quello che a me interessa non è la specificità dell’argomento, per cui di fronte a celebri conoscitori come Albano, D’Alema, Nardella, cedo le armi, quanto riportare la discussione a toni civili degni dell’argomento. Sembra – miracolo! – che il risultato sia stato raggiunto con l’incontro del Ministro Bonisoli con il sindaco di Ferrara e i successivi abboccamenti (leggi QUI la lettera del sindaco Tagliani e QUI la nota seguita all’incontro con il Ministro). Quel che mi rende convinto che, raggiunto lo scopo, me ne tiro fuori.
Troppi e ben più importanti avvenimenti sono passati quasi sotto silenzio rispetto al fragore mediatico innescato dalla vicenda Diamanti. L’incontro tra Liliana Segre e settecento e passa ragazzi ai quali si è rivolta come “nonna viziatrice”. Un colloquio che quasi ha travolto il rapporto tra chi parlava e chi ascoltava in una simbiosi tale che finalmente strappava e tirava fuori da tutti ‘l’humanitas’ che in fondo ci distingue. E la scelta che Liliana Segre ha indicato ai giovani e ai non più giovani percorrendo, lei quindicenne, i ‘resti’ di ciò che rimaneva dell’immane genocidio la via della morte è trasformarla in vita: “Non dite mai che non ce la potete fare, non è vero. Ognuno di noi è fortissimo e responsabile di se stesso. Dobbiamo camminare nella vita, una gamba davanti all’altra. Che la marcia che vi aspetta sia la marcia della vita”. Così dice al Teatro Nuovo di Ferrara; così scrive nel suo libro ‘Scolpitelo nel vostro cuore‘, i cui ricavati andranno all’associazione Opera San Francesco per i poveri Onlus di Milano che s’interessa anche dei nuovi emarginati migranti o rifugiati.
L’aspetto più folgorante del suo magistero sta proprio nella constatazione che lei, una signora di 88 anni che a 15 anni veniva con stupore scambiata per un essere androgino la cui magrezza impressionante faceva sì che le anche le bucassero la pelle, dimostri ora nell’aspetto quella bellezza che è il segno interiore della vita, della giustizia: l’essere giusti. Così quella vittoria della vita contro la morte si legge nell’ultimo libro di Amos Oz, ‘Finché morte non sopraggiunga‘ o nella prossima conferenza del Meis che si svolgera il 22 gennaio quando Daniel Vogelmann, il proprietario della casa editrice Giuntina parlerà del libro che ha scritto su suo padre ‘Piccola autobiografia di mio padre‘: “Mio padre Schulim mi ha sempre raccontato poco della sua vita, e non solo riguardo alla sua prigionia ad Auschwitz. Certe cose, poi, le ho sapute soltanto molti anni dopo la sua morte, come, per esempio, che c’era anche lui nella lista di Schindler. E io, purtroppo, non gli ho mai chiesto nulla, anche perché è morto quando avevo solo ventisei anni. Qualcosa, però, è giunto miracolosamente fino a me, e così ho scritto questa piccola autobiografia per le mie nipotine. Ma non solo per loro“. Ecco. Il silenzio cessa. Testimoni e ricordi si fanno parola dopo il terribile silenzio di chi sapeva che non poteva raccontare l’indicibile. Alla faccia dei negazionisti che anche in Italia rifiutano dalle cattedre universitarie che ricoprono, parole della Segre, la Shoah.
Così, ritornando al mio consueto lavoro senza più timore che la parola ‘intellettuale’ mi sia scagliata in faccia e riprenda quindi il suo significato primitivo, aspetto nel crepuscolo del giorno conforto e sollievo dalla cultura, comunque essa si esprima, sfrondata da toni urlati e da minacce politiche.
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Gianni Venturi
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