DIARIO IN PUBBLICO
Professore? Titoli e scienza, un conflitto tutto italiano
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Da una vita ho anteposto il titolo accademico al meno usato ‘signore’ che nella vita dovrebbe essere – assieme naturalmente a ‘signora’ – il più elegante modo per rivolgersi agli altri, includendo semmai – ma qui è questione di gusti – l’appellativo forse imbarazzante di ‘signorina’ che porta con sé ricordi dolorosi del secolo breve.
Non riesco perciò a capacitarmi della ridicola e sminuente polemica che ha coinvolto i professori Marattin Luigi e Borghi Aquilini Claudio che si sbattono in faccia l’uso legittimo e non del titolo. Che storia! Da sempre nella mia lunga esperienza ricordo l’insistenza con cui nel mio quieto cursus honorum i miei maestri con leggerezza m’interpellavano con il titolo dottore che come si sa nei malinconici festeggiamenti goliardici residui atavici di una goliardia goffa viene evocata per relegarlo in imbarazzanti buchi anatomici. Quindi il dottore che anche a menti poco propense risuona familiare solo per chi si prende cura del nostro corpo fino alle vette di professore che spetta agli dèi della medicina responsabili di reparti e cliniche, viene cancellato nella sottile diatriba per sottolineare la gravissima offesa di appropriarsi indebitamente del titolo aureo. Riportano i giornali che il duellante professor Marattin abbia così rimproverato il dottor (professor?) Borghi Aquilini. Cito dal Resto del carlino del 17.12.2019: «Lui – che per anni ha abusato del termine ‘professore’, essendo stato solo per pochi mesi docente a contratto e poi ovviamente rispedito al mittente – in accademia ci può entrare solo per portare i caffè, con tutto il rispetto ovviamente per chi fa il catering (molti dei quali conoscono l’economia meglio di lui)». A cui l’offeso risponde via twitter: «Informo di avere insegnato per otto anni – scrisse il leghista sul social – di non aver mai abusato di nulla e di non essere stato rispedito da nessuno».
Piccolo esempio di una vuotaggine di pensiero che colpisce anche i nostri più intraprendenti politici.
Si infittiscono poi i ricordi di molti famosi personaggi a cui l’accademia ha negato il titolo bramato e che lo indossano quasi per diritto di chiara fama, ma risulta un lieve peccato se si pensa come molto spesso quel riconoscimento sia frutto di intrighi accademici così comuni nel nostro insopportabile paese.
In un insperato e quasi incredibile incontro che ho avuto con un rappresentante dell’arma dei Carabinieri – che come molti sanno non sono famosi per coltivare l’attività della scienza umanistica ma altri e più fondamentali diritti e doveri – ho ritrovato quella eticità del sapere che molto spesso sfugge ai nostri illustri rappresentanti politici.
Mi reco dunque alla stazione dei Carabinieri per denunciare la perdita del foglio complementare della macchina. Vengo ricevuto da un elegantissimo e altissimo militare che mi ispira subito fiducia essendo io, come ho ribadito tante volte, attento alla fisiognomica. Mi chiede dunque la professione e rivelo dunque la mia. Vedo illuminarsi il suo viso e immediatamente mi chiede se poteva conversare con me, essendo lui un seguace della musa Clio e delle arti apollinee. E mi racconta della sua giovinezza fatta di duro lavoro e della impossibilità di iscriversi a qualche facoltà dopo il diploma di geometra. Del suo impiego nell’Arma. Delle sue due figlie, una amante della letteratura che coltiva con passione. Di avere perseguito il suo dovere ma anche le sue passioni letterarie.
E mi sono commosso. Se dunque il titolo rappresenta una condizione non si potrebbe allora chiamare ‘professore’ chi mi ha impartito una così nobile lezione?
Non facciamoci dunque del male ricordando che ‘A ciascuno il suo’ non è solo il titolo di un libro fondamentale nella cultura novecentesca, ma la speranza di una fondante dirittura di pensiero, al di là dei titoli.
Auguri dunque, signore e signori, sperando in un anno meno triste di quello che sta per concludersi.
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Gianni Venturi
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