Dalle dita magre e ossute appena posate sullo strumento escono cascate di diamanti e perle. E lei, Martha, la divina, scuote la chioma-pelliccia ormai grigio ferro e comincia il banchetto degli dèi. Il concerto è quello di Schumann replicato tante volte e affidato tra l’altro a una memorabile incisione con Mstislav Rostropovich alla direzione. Nella foto del disco la chioma è nero intenso e il grande artista russo appoggiato al piano ride felice con lei. La data dell’incisione è 1978: quarant’anni fa.
Il suono si fa nel concerto di ieri sera più ieratico, senza alcuna compromissione al concetto comune di ‘romantico’ che qui diviene forza passionata e, come diceva Foscolo, “calore di fiamma lontana”. L’astro nascente del giovane Vladimir Jurowski tenta di frenare l’esuberanza del suono e seguire la pacatezza di lei; ma a volte è quasi impossibile. Allora con la mossa abituale lei scosta dal viso la chioma-pelliccia sul lato sinistro e si misura nel primo tempo a creare gioielli di materia durissima che rimbalzano captando la luce dell’intelletto, rifrangendola nell’udito, ma soprattutto nel cuore di chi ascolta. Poi, imbronciata, sembra pentirsi d’aver dato troppo del suo io interiore e sfoggia una tecnica terrificante.
I maestri la guardano esterrefatti e le dita imperiose di Jurowski sembrano annaspare nel tentativo di seguire i capricci calcolati della divina. Il piccoletto giapponese alla terza fila dei violini che calza un enorme paio di scarpe verniciate assolutamente sproporzionate alla sua statura deglutisce di fronte a tanta meraviglia che lui, come i compagni dell’orchestra, stanno creando nel banchetto divino. Simposio un tempo si chiamava.
Poi, alla fine, un silenzio intensissimo prima dello scatenamento delirante degli applausi, che durano minuti e minuti, mentre lei col suo passo altero leggermente claudicante esce ed entra dal e nel proscenio finché s’arrende esausta e regala un fiore delicatissimo, una pagina sottovoce, dove nell’infinito si perde il cuore.
All’uscita una ‘sciuretta’ commenta: “m’aspettavo di più. È stata inferiore all’attesa”. Ma povera casalinga di Voghera, direbbe il grande Arbasino, ma che vuoi? Il cielo? Gli astri? La luna? Hai bevuto il nettare degli dèi e non t’è piaciuto? Allora non sai che cos’è la bellezza. Come si può misurare col freddo metro dell’opinione comune un fenomeno che esce da ogni regola e da ogni equilibrio? E’ l’entusiasmo dal greco: en – dentro – thèos – dio. Il dio dentro, come ci hanno insegnato la sapienza degli antichi e la rivoluzione romantica. E’ lei che nelle mani contiene il divino e lo distribuisce, per cui non possiamo abbassare l’aspettativa quando gli dèi s’affacciano sulla terra ‘a miracol mostrare’.
Che questo commento possa suonare esagerato rispetto al comune pensare lo accetto e lo rispetto. Ma misuriamolo con le lacrime di chi trova il paradiso o l’inferno nell’essere ammesso ai mondiali e piange non per la bellezza ma per una partita. Mia nonna diceva: “il mondo è bello perché è vario”. E allora rinfranchiamoci che Ferrara, riconquistando la ‘erre’ perduta di ‘Ferara’, ci possa offrire quell’evento che pochi hanno avuto il privilegio di seguire. Siamo grati che nel ricordo di Claudio Abbado la divina Martha ci regali ogni anno il miracolo di ascoltare i tesori che escono dalle sue mani e dal suo cuore.
Attenzione. Lascio agli studiosi il compito di giudicare tecnicamente il concerto. Chi scrive parla solo e unicamente in nome della bellezza.
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Gianni Venturi
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