Stride la vampa e col mio magliettino “Orfeo” mi posto sotto l’ombrellone, che fiancheggia i campi da racket [Qui] del nostro bagno. Il rimpallo produce sonnolenza, quando improvvisamente sono scosso dal turpiloquio che esce dalla bocca di una giocatrice che, ad ogni tiro, commenta la mossa o con bestemmia franca o con un vaffa… degno di miglior causa.
Attorno l’indifferenza degli auditori pure muniti di prole minorile. All’ennesimo urlo non reggo e, con voce contenuta ma rabbiosa, invito la dama a calmarsi. Mi guarda come se fossi un alieno e mi replica “se le dà fastidio perché non l’ha detto prima?” E mi lancia un secco e irridente “scusi”.
Di fronte a tanta sporcizia mentale non mi resta che chiamare il gestore del bagno e farmi cambiare ombrellone. Mi rimane l’amarezza di aver dovuto cedere ad un diritto, che è stato travolto dalla oscenità vocale di una qualunque.
Non so se il fatto di per sé dica qualcosa sulla condizione mentale e sociale dei vacanzieri, ma mi preoccupa che a questo insulto alla decenza si debba capitolare, ritirandosi in buon ordine. Quello però che non va dimenticato è che l’esempio si trasferisce alle generazioni inferiori e questo esalta la filiera della scompostezza.
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Gianni Venturi
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