Les adieux beethoveniani naturalmente suonati da Pollini concludono, tra finestre che si chiudono e materassi coperti dalle fodere la stagione lidesca. Mi soffermo sui piccoli e spesso inutili objets de vertu che popolano il mio studio; accarezzo con lo sguardo le stampe e i manifesti canoviani, che con un laborioso tragitto da Bassano a Firenze sono approdati al Lido; mi riguardo i limoni in ceramica, dono dell’amico Fernando Rigon e sento lo scadere del tempo. Forse sarà l’ultima volta che dialogherò con quelle mura, quei libri, quei quadri. E il Lido degli Estensi, forse non più Laido, rimarrà un ricordo di altre stagioni, di altri pensieri.
Accompagnati dagli scudieri, che si prenderanno cura dei fiori e delle piante, riapprodo a casa, quasi estranea dopo mesi di assenza. Giochiamo a ricordarci le posizioni consuete degli oggetti e riguardiamo compiaciuti i letti che obbediscono ai filocomandi. Poi cominciano gli appuntamenti medici e, fiduciosi, ci rechiamo al ferrarese Sant’Anna. Qui schiere di dolenti si sottopongono alla pistolettata per misurare la temperatura e inconsciamente si aggregano come pecore al pascolo, ignorando le protezioni anticovid, quando vengono chiamati per il prelievo del sangue. La voce severa degli infermieri produce poca disciplina, mentre trionfalmente la chiamata produce passo svelto, movimenti sciolti e finalmente il distanziamento.
Poi l’inferno. Per lavori in corso è totalmente smantellato il consueto percorso che ci scodellava presso la nostra unità di riferimento dei medici di base e tra strisciar di scarpe, domande sempre più affannate a coloro che ci dovrebbero indicare la via della salvezza ci aggiriamo nei corridoi. Invano. Cominciamo a dubitare che ci fossimo sognati quel luogo, quell’ambulatorio, quegli ambienti. Il vecchio stizzoso, ovvero chi scrive queste note dopo 36 minuti di false speranze, comincia a sbraitare guardato con sufficienza dagli indicatori umani, che come un mantra recitano la strada da farsi e che non si trova. Infine, da una porticina nascosta sbuchiamo al nostro reparto, accolti dai sorrisi ironici degli stessi medici che avevano provato la stessa esperienza. Ma ci consoliamo col perfetto funzionamento di una clinica privata e… la luce rossa, che dopo essersi lavate le mani e prima di cogliere il biglietto d’accettazione dovrebbe misurare la temperatura s’incanta e se.. se dà il via libera del verde, continua ossessivamente a ripetere il suo rosario finché qualcuno dal ricevimento viene a spegnerlo.
Tra un esame e una risonanza s’affaccia il mio amico oculista, fortunato compagno umano di due bellissimi pelosi, a cui rivelo d’essere ormai in dirittura d’arrivo per diventare lo zio di Benny; anzi! Sapientino, il pronipote a cui viene dato il cane, con fare sbrigativo m’informa che faremo una video conferenza (non so cosa sia) per registrare l’arrivo di Benny a casa.
La conferenza parigina su Cesare Pavese per ora sembra essere confermata edi allora il cuore mi si scioglie a pensare a tre giorni parigini tra i ricordi e una rabbia sorda m’invade al solo pensare che potesse venire rimandata. Così è per le celebrazioni pavesiane a Torino. E domani arriverà il Taccuino segreto di Cesarito.
La città è strana. Si parla e si sparla sulle mostre, sui Buskers, sui concerti; ma ogni cosa sembra lontana, priva di senso, come ha saputo ben esprimere il bravo Carofiglio nel suo romanzo A occhi chiusi.
Leggo con grande interesse i commenti che escono sulla ‘fenice’ di Mario Zamorani e spero in un risorgimento delle idee e delle possibilità di chi un tempo si proclamava, e tuttora si proclama, di sinistra.
Ci avviciniamo allora all’autunno, un tempo triste ma che può diventare occasione di riscatto.
Una ultima nota. Ho lavorato talvolta con Philippe Daverio e mi ha colpito la sua morte; tuttavia, pur riconoscendogli effervescenza d’eloquio e capacità d’intrattenimento, non potrò riconoscergli, ma quello forse lui stesso non lo pretendeva, la qualità che dovrebbe distinguere un vero storico dell’arte. Ma la mia generazione era lontanissima nella preparazione al mestiere dalla sua e di altri.
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Gianni Venturi
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