Skip to main content

I bambini in questi giorni sono sulle prime pagine di tutti i giornali: dal feroce delitto di Fortuna-Chicca-Loffredo alle immagini delle nascite brutali tra le baracche di Idomeni, ai corpi straziati dei bimbi che il mare ha ributtato sulla spiaggia; quel mare a cui Montale si rivolgeva come un impassibile giudice “come fai tu che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso”.
E le cronache rimandano immagini di un tempo feroce, dove maestre picchiano bambini e li maltrattano e li strattonano, dove vicini di casa occultano feroci delitti commessi su bimbetti indifesi, dove per punire chi non ubbidisce alle leggi del clan il figlio viene sciolto nell’acido. E dove si creano dai bimbi feroci miliziani settenni che uccidono a colpi di pistola gli ostaggi.
Infanzia violata, si diceva un tempo, mentre scorrono come per incantamento – direbbe Ariosto – i fotogrammi finali della “Dolce vita” in cui la bimba guarda perplessa il mostro marino. Ma l’infanzia e la prima giovinezza sono di per sé le età privilegiate di un contatto con il mondo che può essere ancora una volta la possibilità di costruirsi un futuro. E non solo con le immagini di Gomorra.
E mentre la nostra vita s’avvia a un punto di non ritorno i ricordi dell’infanzia si moltiplicano. Improvvisamente assumono una valenza fondamentale. Il cestino del pranzo comprato in un negozio che ancor oggi resiste di fronte all’asilo Sant’Anna, il pizzicore provocato dai calzettoni di lana lavorati da nonna, il vestito con la giacchetta a doppio petto della prima comunione identico a quello di mio fratello fatto con le stoffe Unra. E quelli più recenti di nipoti e pronipoti, amatissimi, rispettati nel loro lento avviarsi a diventare uomini e donne liberi di scegliere, ma non più protetti dall’innocenza a cui tutto noi “grandi” abbiamo aderito, ma con la responsabilità di un destino che li ha resi tali quali oggi li vediamo e amiamo.
Ancora una volta il contatto con i ragazzini crea un corto circuito difficilmente dimenticabile. Così m’avvio a Mesola per parlare di Ludovico Ariosto a una nutrita schiera di ragazzi di terza media. Che bella mattinata! Al Castello della Mesola per la fiera dell’asparago, non per comprare l’amatissima verdura, ma per parlare a circa 150 ragazzini di terza media su Ariosto. E’ l’unica cosa che conti. Doversi sforzare (ed è fatica grandissima specie per noi ‘intellettuali’… brrr… che nome) di rendere comprensibile ai ragazzini la meravigliosa poesia di Ludovico. E che soddisfazione! Naturalmente l’Ippogrifo la fa da padrone, ma anche le facce dell’Ariosto e anche le storie di Lucrezia. Un mormorio s’alza dalle fila dei maschi quando proietto l’immagine di Lucrezia Borgia nelle vesti di Flora con un seno scoperto. Avverto di non commentare, ma qualcuno mi domanda se può almeno dire “Oh!” Concesso. Le ragazze guardano con evidente disprezzo, loro, i ragazzini attenti più ai loro giochi puerili che alle storie d’amore che il poeta racconta e che hanno per centro sempre e comunque l’amore. Fino alla pazzia.
Si conclude la chiacchierata con evidente soddisfazione mia, ma anche loro. Sollecito domande che non arrivano o vengono rimbalzate dall’uno all’altro. Poi alla fine tra lo scrosciar degli applausi – non so se indotti o sinceri, ma m’illudo e propendo per la seconda ipotesi – il più sveglio in seconda fila mi chiede se può fare una domanda. Ovviamente rispondo positivamente. E con aria furbetta dice “ Che ore sono?” Di fronte alla mia perplessità e alle risate dei compagni alla fine capisco: avevo sforato di venti minuti il limite della lezione.
Si dice, e forse è vero, che i ragazzi specie nella pubertà, ma anche nell’infanzia sono crudeli. Ma qual è il senso di questa crudeltà? Anche Micòl nel “Giardino dei Finzi-Contini” può essere giudicata crudele. E crudeli sono i giovani che commentano la diversità di Athos Fadigati, il medico omosessuale degli “Occhiali d’oro” o il protagonista di “Dietro la porta”. E’ tuttavia una crudeltà che noi adulti giudichiamo tale e che fa parte dell’umanità. Cioè non è indotta, ma insita nel genere umano. A meno che non si tratti di una crudeltà che ha origine dalla diversità. E allora, secondo un’invenzione potente dello scrittore Bassani, diversità è crudeltà poiché il mondo – e noi stessi – la giudichiamo attraverso il vetro della distanza che ci allontana dalla realtà. E’ la vetrina dietro la quale immobile ci fissa la sagoma dell’airone impagliato non più legato alla sofferenza dei colpi di arma da fuoco che lo hanno abbattuto. Sono gli occhiali che condannano la scelta di Fadigati. E’ la porta dietro la quale Cattolica spia la vita.
L’innocenza e/o la crudeltà dei giovani fanno parte della vita a meno che non le si legga con gli occhiali della diversità. O ancor peggio non le si corrompa con la ferocia del non umano: il mostro che ha ucciso l’innocenza di Fortuna o i mostri che abituano i bambini alla pratica della morte come gioia, senso del potere, odio contro la vita.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it