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Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


 

Dopo un robusto caffè, riemergo dall’ascolto delle canzoni sanremesi. Da ragazzini per esprimere la difficoltà di un compito si usava dire, sia fosse per un problema non risolto, o sia per una glossa filosofica non capita: “Mon dieu de la France che mal à la pance!”. In tal modo si può commentare l’incredibilità della kermesse sanremese, che nei miei più oscuri incubi mai avrei supposto o pensato.

Dagli amici più cari mi si fa osservare: “Ma chi te lo fa fare!”. Rispondo convintamente che, se non si sperimentano le scelte del sentire comune, è poi inutile sproloquiare, riportando in luce cause ed effetti della Rivoluzione francese, che parte dall’assalto dei bifolchi a Versailles e si conclude con Robespierre, Marat, Napoleone.

Forse, a differenza di allora manca, o si nasconde, il critico che potrebbe interpretare il tempo e le sue ragioni. Ma chissà se fra qualche decennio sapremo se oggi c’è un Montale o un Leopardi che abbiano saputo esserne all’altezza.

Cominciamo dalle mises dei cantanti, che dovrebbero indicare l’orientamento di una delle maggiori fonti dell’industria e creatività italiane: la moda. Sarà vero che i giovani preceduti dagli anziani vestiranno come i cantanti sanremesi? In nome dell’indifferenza del genere? Quella parola-concetto che sembra (forse) ribadire l’assoluta commistione tra maschile e femminile?

Si propongono allora gonne al posto di pantaloni, camicette trasparenti su petti villosi, tette al vento seppure cadenti, catene e pendagli accompagnati da gesti che vorrebbero sottolineare una sessualità inventata.

Il make-up esalta maschere tragiche lette sul viso e sul corpo che, come su un foglio di carta, raccontano l’inibizione e la trasgressione. Certo! La necessità del raccontare proibita dall’insipienza linguistica affida idee (lasciamo da parte gli ideali) ad un vocabolario visivo espresso dai tatuaggi e di scritte sulla pelle.

Che schifezza! Soprattutto sapendo che almeno il 70% degli italioti condivide questo modo d’esprimersi. Quindi diventa, di conseguenza, lo specchio del caos politico. Sento salire dentro di me l’orgoglio della diversità. E lo chiamino pure effetto radical chic, o superbia intellettuale.

L’ineffabile Amadeus [Qui] si circonda di co-conduttrici rese celebri da serie televisive di successo. Scelgo di vedere la performance di Maria Chiara Giannetta [Qui], intelligente interprete di serie televisive di grande successo.

La mia speranza che assieme a lei apparisse l’amatissimo peloso/a Linneo di Blanca [Qui] si è dimostrata vana, ma ben presto mi sono ricreduto, quando ha saputo recitare un dialogo in cui ogni parola e l’azione erano citazioni da titoli di canzoni. Brava!

E le canzoni? Non le so giudicare perché mi sfugge la misura del giudizio. Sono inni, preghiere, convinzioni sotto il velo dell’ambiguità? Anche oscenità, come attesta quell’orribile cantante che si battezza da solo.

In fondo, il trionfalismo del Festival serve per confermare non una aurea mediocritas, ma l’affossamento delle idee e ancor più radicalmente degli ideali, di cui la mia generazione, o meglio, parte di essa, si è nutrita.

A livello personale condivido entusiasticamente la nota del presidente Mattarella, che ricordava di essere stato presente all’ultima esibizione di Mina [Qui] alla Bussola. E spontaneo si alza il grido: “Anch’io c’ero!”

Eccome se c’ero!!!

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it