L’equipaggiamento della foemina et homo laidensi non può prescindere da una serie di accessori che ne fanno l’esatto ritratto del personaggio alla moda: dai tre ai novantacinque anni. Il nucleo del vestimento è dato da una serie di sacche e sacchetti che racchiudono tutto ciò che occorre alla specie marina. Ovviamente accompagnati da pantofole infradito, da berretto portato con la visiera dietro, da cui spuntano, in chi li possiede, una selvaggia massa di capelli (per lui) e da guizzanti e serpentine chiome rinserrate in fasce e calotte (per lei); da crani lucidi per sudore di chi ne è sprovvisto.
Ma torniamo al contenitore. Nella mia infanzia che si perde nella notte dei tempi si usava la borsa da mare, immensa, che conteneva di tutto: dagli asciugamani alla carta igienica, dai costumi di ricambio, alla merenda se non al pranzo, dalle pantofole da bagno alle cuffie e ai giornali e libri per i più colti. Un peso enorme trascinato faticosamente dal ragazzotto, nelle famiglie era il pezzo forte, in spiaggia inseguito dalle urla materne che ne reclamavano il possesso, pieno di ormoni e che si supponeva fosse il più forte. Una rappresentazione efficace sta in Casotto il film del 1977 di Sergio Citti, l’allievo di Pasolini, abbastanza attendibile seppure velato dalla nostalgia tipica dell’ultima stagione neorealistica.
Ma la borsa! La borsa era per le jeunes filles en fleur della mia giovinezza l’apice della maturità raggiunta. Leggere Bonjour tristesse della Sagan e portare con naturalezza la piccola trousse di Hermès o di Chanel, o partecipare ai moti studenteschi con i capelli avvolti in un foulard francese e sbattere la borsa preziosa contro gli scudi della polizia, qualificava le ragazze: intelligenti, belle – quasi sempre – semmai per le irrimediabili definite interessanti dai loro compagni capelluti, con il foulard alla Battisti al collo e i pantaloni a zampa d’elefante. Che tempi! Ricordo ancora, non potendo sfoggiare neppure un minimo scialo di capelli, i foulard che m’adornavano il collo un po’ gallinaceo, mentre davo il braccio alla mia dea, Elsa Morante, passeggiando a Roma per il Corso. Negli ambienti raffinatissimi fiorentini, dove tutto doveva apparire comodo, usato e mai nuovo le borse venivano comprate in piccoli negozi di via della Vigna nuova o in via Tornabuoni, tra Old England e Ferragamo. Mai esibite; semmai lasciate a maturare dalla stagione precedente. Nelle estati versiliesi le ragazze sfoggiavano piccole sacche di pezza da usare con moto rotatorio, quando si sorbiva il gelato da Fappani o più tardi al Lido di Camaiore ai Sorci verdi. Quando osai per la prima volta presentarmi a Bellosguardo dalla mia vice mamma con un borselletto comprato a prezzo carissimo venni accolto con strida e furore. Mi venne imposto immediatamente di lasciarlo a casa (era una prima del Maggio Musicale dove dirigeva l’amico Riccardo Muti) e di non permettermi mai più simili follie.
Ora dal mio osservatorio laidesco osservo l’assembramento delle sacche. Sull’esile spalla delle donne si contano: borsa normale, e una specie di sacca che contiene oggetti fondamentali per la vita di spiaggia o di discoteca; sull’altra alcune specie di tubi il cui contenuto non riesco a indovinare. I loro compagni maschi aggiungono al tutto uno zaino enorme rigorosamente infilato su una sola spalla e protetto, ovviamente davanti, dal racchettone. Più imbarazzante la mise dei diversamente giovani a cominciare dai quaranta/cinquantenni che si coprono le pudenda con un borsello esattamente posto sull’organo riproduttore. Naturalmente indossano slip anni Ottanta con cui passeggiano anche per viale Carducci. I loro bellissimi cani, indifferenti alle mode, piscicchiano stancamente dopo l’annusata di rito.
Sembra quasi che il fascino delle boutiques dei falsi sia fuorigioco. Provviste di borse, vestiti, orologi, scarpe accuratamente distanziate sulla battigia non attirano più le masse frementi del falso lusso. Ora vanno molto i negozi cinesi provvisti di tutto: dal cocomero al costume da bagno e naturalmente da batterie complete di borse, borsoni, borselli e zaini.
Nello studio, dove mantengo parte dei libri fiorentini, mi diverto la domenica a raccoglierne una decina e portarli alle signore, che hanno il loro banchetto fuori dalla chiesa e che li vendono per beneficenza. Ma anche qui le risposte sono diverse. Da alcune vengo ‘regalato’ di santino e rosario da altre – una in particolare – che mi caccia ululando “corona virus!”. E in questa strana estate anche i libri portano maleficio. All’edicola, dopo aver comprato l’ennesimo Camilleri o Carofiglio, penso con tenerezza ad un me ragazzetto, che sul viale a Viareggio davanti alla libreria accanto al caffè Margherita si scioglieva di commozione a leggere i titoli dei libri che avrebbe voluto leggere e che non poteva permettersi.
Arrivò poi la stagione fiorentina quando in via Tornabuoni la libreria ti permetteva di leggerli, di riportarli o di tenerli e di pagarli a rate. Che scorpacciate! Allora sì che i borsoni erano necessari!
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Gianni Venturi
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