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Quasi una maledizione s’abbatte su questo Diario, il primo che scrivo all’arrivo al Lido degli Estensi dopo le frescure di Vipiteno.
Al trionfale punto di chiusura, questa mattina spingo un tasto e lo scritto diventa irrecuperabile. Segno evidente della vendetta del Laido alle critiche affettuose che da anni gli invio. Dotato dunque di pazienza mi risolvo a riscrivere i miei appunti, confortato anche dall’arrivo di Scaramouche il favoloso gatto dal pelo anallergico che è la vera vedette della casa dei miei parenti.

Esattamente una settimana fa arriviamo, accompagnati generosamente dagli amici montano-ferraresi Peter e Delberta. Veniamo accolti dagli scudieri, che ci fanno trovare una casa perfetta nonostante il furto dei ricordi commesso da una banda – si suppone – di balordi che hanno trafugato oggetti e soprammobili in tutte le case della via. Si sono salvate le tracce canoviane del mio appartamento, che nel loro gelido biancore mi ricordano i luoghi fiorentini e bassanesi che hanno accompagnato il mio percorso culturale e di vita.

Uno starnazzìo confuso, lunghi gemiti che sembrano pianti di bambino ci tengono compagnia all’apertura della casa. Sono loro, i gabbiani, non miti creature come il mio compagno criceto, che sfogano la loro protervia con l’urlo ininterrotto della fame. Matteo mi fa leggere il secondo episodio della sua saga. Paulino l’albatro buono e poco scagazzone ha sposato Aluccia. Hanno bambini che esprimono i loro diritti anche se debbono combattere con i parenti protervi: il re e la regina. Frattanto loro invadono ogni sommità possibile, case, camini, alberi protestando sempre più clamorosamente.

La prima notte si sgancia una così detta bomba d’acqua. Tra lampi che illuminano a giorno il cielo si rovescia sulla terra. Dopo aver chiuso ogni finestra e porta mi accascio sulla poltrona e il mio sonno agitato all’alba è interrotto da sommessi movimenti di rastrelli e scope. Mi affaccio e vedo pazienti umani che meticolosamente creano pile di aghi e rami di pino spezzati, sperando nell’arrivo salvifico dei mezzi pubblici di raccolta. Invano. La notte successiva stessa storia. I tombini stracolmi e intasati rigurgitano acqua sporca e addirittura schiuma, che lentamente invadono lo stradello del mio giardino, nonostante ci si adoperi a sgorgare le caditoie. Il lavoro sbagliato, già denunciato l’anno passato, imperterritamente dà i suoi frutti velenosi. E i gabbiani urlano e gridano.

Tra una bomba e l’altra mi trascino stancamente in spiaggia per leggere il deludente ultimo e inedito romanzo di Camilleri, Riccardino e frattanto osservo il rito della spiaggia. Lentamente risalgono dalla battigia, dove si trovano i banchetti dei vestiti, le fedeli clienti. Sugli immensi lati b, sui petti maestosi svolazzano veli, stoffe ricamate, sciarpe. Sono consce della loro ‘modaiolità’ e indugiando arrivano all’altezza dei campi di beach volley davanti al quale c’è il mio ombrellone. Qui si consuma il vero e amato oggetto delle vacanze: la partita a questo sport. Dagli otto ai 90 anni si esibisce il rango e la qualità, mostrando l’oggetto del desiderio: la racchetta che, a seconda della marca, rappresenta il vero status symbol e viene portata come scudo sulle spalle. Pantaloni a mezza gamba, maglietta, sorriso sdegnoso completano la vestizione, accompagnata da, chi ne ha, arruffati capelli che spuntano da berretti portati con la visiera dietro. Il tutto accompagnato da viso scuro e leggermente incazzato. Le ragazzette che esibiscono glutei rispettabili, capelli lunghi all’apparenza non pulitissimi sfoggiano la loro ultima arma di seduzione: la bestemmia. E non esagero. Io stesso le ho sentite con aria irridente sacramentare tra i circoli sempre più stretti delle biciclette dei loro giovani partners.

E allora capisco che in questo clima di covid-19 l’intera Italia si adegua ai nuovi valori (!).
Sul corso si osserva il prodotto della crisi: negozi semi-vuoti, affannoso su e giù dei villeggianti, pelosi canini di ogni razza si annusano, s’incontrano, s’abbaiano. A mezzo viale una lunga fila denuncia la presenza dell’unico vero negozio in attivo: la farmacia. Qui pazienti giovani dottori dispensano consigli, medicine, prodotti di bellezza. Hanno parole gentili e non si rifiutano alle geremiadi di ogni tipo e qualità.
Poi alla sera, mentre forse si prepara un nuovo diluvio, il noto tramestio di scope e scoponi sigla ancora la nuova dimensione lidesca e forse ancora laidesca.
Aghi, pini, gabbiani. Eppur bisogna spazzar.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it