CORPI DIMENTICATI
Roma, 2 agosto 2019
La storia di oggi purtroppo non fa ridere.
Stamattina vorrei andare in circoscrizione, ma appena giro l’angolo di casa, mi sorprende una scena spaventosa.
Una signora anziana, con uno di quei vestitini bianchi a fiorellini che le signore mettono in casa, a piedi nudi, senza un paio di scarpe vicino, è sdraiata sul marciapiede a faccia in giù, immobile.
Sono appena arrivate delle persone che le stanno accanto per capire cosa è successo.
E’ caduta dal secondo piano: dove? Dal balcone, quello là.
Com’è possibile? C’è la balaustra.
Avrà avuto un capogiro, si dev’essere sporta troppo.
Comincio ad avvertire una grande concitazione attorno a me.
Avete chiamato l’ambulanza? Chiedo io.
Si, abbiamo chiamato il 112, il numero unico, che poi ci ha mandato dal 118, che ci ha messo in attesa.
Un signore prende l’iniziativa e richiama. Cominciano a fargli tremila domande.
La signora è vigile? Si. Sembra che respiri, ma ancora non risponde.
Parlatele, non la muovete e lasciatela com’è.
Qualcuno si spazientisce: “Ma dateve ‘na mossa e venite, invece de perde tempo a chiaccherà!”
Ma forse l’ambulanza è già partita, il centralinista fa il mestiere suo.
Attorno si è formato un capannello, la maggioranza, vecchi.
Un po’ perché è estate e i giovani sono al lavoro oppure coi figli al mare. Un po’ perché siamo diventati tutti vecchi e i vecchi sono morbosamente curiosi riguardo alle tragedie e alle situazioni che gli ricordano la morte.
Io che in genere, in queste situazioni, se non sono d’aiuto mi allontano, considerando il ruolo del curioso un po’ indecoroso e spesso d’impiccio (ho sempre odiato gli ingorghi autostradali causati dal rallentamento voyeuristico di chi vuole godersi la scena raccapricciante di un incidente mortale). Ma stavolta, con l’impegno del cronista, decido di restare fino alla fine.
Noto che le signore parlano, sposando la teoria del capogiro. Dicono che la balaustra del balcone è troppo bassa. I maschi tacciono.
Io mi soffermo sul dettaglio dei piedi senza scarpe e immagino che, vestita così, avrebbe dovuto averle indosso: a meno che non se ne sia liberata per scavalcare più agevolmente.
Saranno considerazioni da romanzo poliziesco, ma per me la signora non è caduta per sbaglio.
Intanto il tempo passa e l’ambulanza non arriva.
Un rivolo di sangue esce dalla testa della donna e comincio ad allarmarmi, pensando che non agire sia già una responsabilità.
Chiamo il 113, stavolta, coordinandomi con quelli più attivi.
Il tempo di attesa, in questi casi è sempre insopportabile. La gente comincia a protestare, anche se sono passati appena 10 minuti.
Nel frattempo è arrivata la figlia, una donna dall’aria stordita, che non sa cosa fare.
Resta a guardare la mamma spiaccicata sull’asfalto, ma non riesce a dire una parola.
Anche qui le mie fantasie, forse proiettive, sono che al suo posto, non mi sarei staccato da mia madre. Mi faccio un’idea, giudico: ma poi penso che non ne ho diritto. Che ne so io? Sono un solo un passante curioso.
Noto però che la gente collabora in modo molto pratico, le consigliano di andare a prendere i medicinali della signora e i documenti, nel caso che arrivi la polizia.
Per fortuna c’è un uomo giovane che sa il fatto suo e non smette di parlarle.
La signora caduta comincia a rispondere con dei gemiti.
In effetti c’è qualcosa di morboso in questa platea di gente coi capelli bianchi che guarda una coetanea agonizzare, senza poterla neanche toccare, carezzarla, farle coraggio. Guardo i piedi nudi nodosi accavallati, il vestitino che si sta bagnando di sudore e la macchia di sangue che si allarga sul marciapiede.
E quest’uomo giovane, l’unico, che le parla con dolcezza, per farla stare sveglia.
Ogni volta che mi è capitato di assistere a una situazione difficile, c’è sempre qualcuno che sa come si deve fare e lo fa con decisione e umanità.
Insomma, c’è un senso civico più diffuso di quello che ci si aspetta, o perlomeno, nei momenti estremi, c’è spesso una parte di noi che reagisce e aiuta a metterci in salvo.
Forse, soprattutto per come lo rappresentano i media, può sembrare che questo spirito di reazione non ce la faccia ad avere la meglio. Che siano tutti – gli altri – diventati insensibili e indifferenti.
Dopo 15 minuti arriva l’ambulanza e poi la polizia.
Gli infermieri (quasi tutte donne) riescono a rovesciare la donna, bloccarla con un collare, tamponare la ferita e caricarla. La signora è ancora viva.
Forse domani sapremo se ce l’ha fatta.
Sapremo se è stato un incidente, o una scelta, tristissima come la solitudine di chi non ha più ragioni per vivere.
Rimangono molti pensieri, fantasie cinematografiche o morbosi interrogativi da romanzo giallo (qualcuno l’ha spinta?). Arrivano altri parenti, ma non le si avvicinano.
Ormai la donna è un corpo in terapia intensiva, in balia di mani – speriamo – esperte.
E mi vengono in mente altri anziani, illustri e meno illustri, che a un certo punto hanno scavalcato il balcone e sono finiti di sotto. Per levare il disturbo.
(Continua domani, 3 agosto)
Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:
Diario di un agosto popolare
Oppure leggili uno alla volta:
ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA
FREQUENZE DISTORTE
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Daniele Cini
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