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STRANI STRANIERI
Roma, 1 agosto 2019

La mia prima uscita è al bar di Mario, che è un cinese.

Dicono che i cinesi fanno i migliori caffè, anche se il bar non ha neanche un cornetto e ha quattro bottiglie in fila e un aspetto da periferia di paese.

Però il bar di Mario è il più frequentato dai vecchietti della zona.

Si siedono fuori, in estate, sulle sedie intrecciate di plastica e sorseggiano liquori scadenti o fumano sigarette.

E’ un luogo ideale per ascoltare gli umori del quartiere (Prenestino), anche se il target è molto definito: non si scende sotto i 50.

Stasera mi avvicino a un tavolo dove parlano ad alta voce.

C’è Adriano, un tipo abbronzatissimo coi capelli tinti e degli occhiali psichedelici, Porta una vistosa camicia rossa e degli shorts come fosse appena arrivato dalla spiaggia.

Adriano è un personaggio fisso del bar di Mario, lo trovo quasi tutti i giorni.

Al tavolo sono in tre: un signore pelato che viene dal Marocco e un altro che ha la funzione di ascoltare e star zitto.

Adriano parla con una voce da bibitaro, rivolgendosi solo a quello muto e gli risponde sempre il marocchino, che però lui non guarda mai.

Non c’è traccia di razzismo: i tre sono a loro agio allo stesso tavolo, come vecchi amici, ma non posso non notare la triangolazione degli sguardi.

Forse è una questione di identità di gruppo: Adriano può convivere con Omar, ma appartiene comunque a un’altra tribù: chissà se può fidarsi. Del muto, invece, sì.

A un certo punto il marocchino dice: “Non si può andare avanti così: i miei vicini italiani guadagnano 400 euro di pensione, sono io che devo aiutarli, perché dove vivo io sono l’unico che lavora, non mi posso lamentare. Del resto uno ha una panza così (e mostra una ciambella), come vuoi che cerchi lavoro? Certe persone hanno finito, non puoi chiedergli di andare a lavorare. E il Governo che fa?”

Adriano gli dà ragione, ma, dice, “non si può dare sempre colpa al Governo, che certo ha le sue pecche, ma me pare che tutti stanno a aspettà che lo Stato gli dia i soldi per vivere. E come fa lo Stato a pagare tutti?”

“Si, d’accordo”, dice Omar ”ma una povertà così non si è mai vista. E lo dico io che vengo dal Marocco: non parlo per me che sto bene, lavoro, sto in cantiere. Ma gli italiani non ne possono più”.

Adriano, continuando a parlare col terzo, comincia a parlare della guerra. Dice che “allora sì che c’era la miseria, e menomale che poi so’ arrivati gli americani…”

Poi mi arriva una telefonata e mi perdo il passaggio, ma quando riascolto stanno parlando di Monte Cassino. “C’eravamo anche noi, a Monte Cassino” dice Omar. “Era meglio che non ci foste” dice Adriano, alludendo, credo, agli stupri delle donne. Il marocchino ridacchia e a me, che tifavo per lui, corre un brivido nella schiena.

Il machismo tra maschi dà la stura ai lati peggiori. Ma Omar aggiunge, come fosse uno storico, “certo che anche prima della guerra qui le cose andavano male, però oggi il mondo ha più soldi e dovrebbero distribuirli meglio”,

Adriano non sembra convinto, però lo ascolta e lo saluta, dicendo: “’Namo che qui, quann’eroregazzino, so’ cascate le bombe, nun se dovemo lamenta’ troppo!”. E inforca un motorino, sgommando via, energico e ottimista.

Questa conversazione mi è sembrato un buon inizio. Naturalmente non ha alcun valore sociologico, ma mi ha presentato qualcosa di inatteso.

Il paese, a quanto sembra, sta parlando solo di stranieri. Respingerli, accoglierli, buonismo, cattivismo. Forse la realtà è più complessa e gli stranieri, che sono già fra noi da almeno vent’anni, cominciano a porsi problemi da italiani.

Certo che ci dobbiamo preoccupare per i rigurgiti razzisti e la deriva che sta prendendo il paese grazie alle esternazioni di Salvini.

Ma forse è anche pericoloso semplificare, come faceva un tizio in piscina che protestava incazzato: “E’ che viviamo in paese di stronzi: in banca da me sono diventati di botto tutti fascisti e continuano a dare la colpa al PD!”.

Sarà. Ma forse anche questo, creare una frattura crescente tra “noi” e “gli stronzi”, sta mandando a quel paese la famosa coesione sociale.

Che, senza rinunciare al conflitto di classe e alla battaglia per un mondo più giusto, è una delle cose più importanti da tenere stretta.

(Continua domani, 2 agosto) 

Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:

Diario di un agosto popolare


Oppure leggili uno alla volta:

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA

STRANI STRANIERI

CORPI DIMENTICATI

NELLA CITTA’ DESERTA

COCCIA DI MORTO

FINCHÉ C’É LA SALUTE

LA BOLLA SVEDESE

STELLE CADENTI

LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER

FREQUENZE DISTORTE

CANNE AL VENTO

L’OTTIMISMO DURA POCO

LA TORBELLA DI ADAMO

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Daniele Cini

è regista e autore. Dagli anni Ottanta Collabora continuativamente come regista con i programmi più importanti della Rai e realizza reportage in vari paesi del mondo. Nella fiction cura la regia di serie televisive, come “La Squadra”. Per il cinema firma il film “Last Food”, il mediometraggio “Zittitutti”, e due episodi nei film collettivi “Intolerance” e “All human rights for all”. Tra i documentari: “Sogni.com” per Rai Fiction, “Seconda Patria” per History Channel, “Noi che siamo ancora vive” per Rai 3, Globo d’oro nel 2009, “Bambini guerrieri” per Rai 1 e “Hungry and Foolish” per Rai Expo. Nel 2021, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, realizza il film documentario “La febbre di Gennaro”, Nel 2022 il documentario “Il ragazzo con la Leika”, 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, trasmesso su Rai 2. Nel 2004 ha pubblicato per Voland “Io, la rivoluzione e il babbo” e nel 2020 per Giunti “Se son rose sfioriranno” .


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it