Che viviamo in una società dell’informazione è cosa scontata quanto banale. Scontato però non è come transitare dall’informazione alla formazione, come difendersi dal pericolo che l’informazione si traduca in “in-formazione”, in strumento cioè non riconoscibile e, quindi, non governabile di condizionamento dei modi di pensare e di agire delle persone, di manipolazione di cittadinanze passive.
Quando si parla di città o regioni che apprendono, che imparano, s’intendono comunità di cittadini che non subiscono le conoscenze, ma che con esse interagiscono, soggetti attivi e consapevoli, non sudditi di apprendimenti subiti, come più spesso accade nel villaggio globale che abitiamo.
Come fornirsi allora degli strumenti opportuni per non essere vittime delle overdose quotidiane di messaggi che pretendono di convincerci all’acquisto di un prodotto piuttosto che un altro, che l’interpretazione dei fatti è quella con maggior risonanza, che occorre ascoltare la voce degli opinion maker e via dicendo?
È possibile che sia funzionale ad una volontà di manipolazione delle condotte umane trascurare sistematicamente ogni occasione di fare del nostro villaggio globale, anziché una società dell’informazione, una società della formazione.
Viviamo in una società che potremmo definire ‘didattica’, che pretende di ‘educarti’ circa cosa è bene fare e non fare, dagli sport alla salute, dall’abito al cibo, dall’economia alla politica, senza mai preoccuparsi di fornirti gli strumenti per formarti in maniera da accrescere la tua consapevolezza, la tua autonomia, fino a divenire un cittadino attivo e responsabile.
Per questo la realizzazione della società della conoscenza è la sfida che va lanciata alla società dell’informazione. Accedere sempre più ad ogni occasione di sapere e di formazione per coesistere intelligentemente e criticamente in un mondo di news incessanti, che, se ci offrono la piacevole sensazione di essere in ogni istante al centro del flusso della contemporaneità, finiscono per stordirci, fino all’intorpidimento e alla sopraffazione.
La società dell’informazione deve, quindi, essere completata e accompagnata da una società dell’apprendimento, se non vogliamo cadere in un mondo inconsapevole e in una cultura senza valore basata sui ‘clic’, sullo ‘zapping’ e sulla superficialità del ‘patchwork’.
C’è una sfida urgente che ci sta di fronte e che tutti dobbiamo imparare ad affrontare, che certo l’informazione da sola non ci aiuterà mai a risolvere, quella, ad esempio, di accrescere sempre più la comprensione tra fedi, culture, razze e nazioni, diventare una comunità mondiale di apprendimento, dove ci si possa aiutare a vicenda per arricchire il potenziale umano di ciascuno.
Immaginate, se volete, un sistema di città di apprendimento collegato a regioni di tutto il mondo, ciascuno utilizzando la potenza delle moderne tecnologie della comunicazione per entrare in contatto significativo con l’altro.
Ne nascerebbe una rete globale di reciprocità, di dialoghi e di conoscenze da ecclissare ogni altro canale informativo.
Pensate a un peer to peer. Le scuole con le scuole per aprire le menti e la comprensione dei nostri ragazzi. Università con università, impegnate sui temi dell’insegnamento e della ricerca per promuovere congiuntamente la crescita e lo sviluppo delle loro comunità.
Centri di apprendimento per gli adulti collegati mondialmente per consentire agli adulti stessi di entrare in contatto tra loro.
Il mondo degli affari, business to business, per sviluppare imprese e commercio. Ospedale con ospedale per lo scambio di conoscenze, tecniche e persone.
Persone con persone per abbattere gli stereotipi e costruire una consapevolezza delle altre culture, credenze e costumi.
E così via, museo per museo, biblioteca per biblioteca, amministrazione per amministrazione. Immaginate che questi collegamenti includano sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo nel mondo. Formare un anello internazionali di apprendimento tra centinaia di reti simili.
Immaginate che un decimo del denaro utilizzato per sviluppare soluzioni militari ai problemi umani e sociali vengano spesi per le persone e gli strumenti affinché tutti questi anelli possano lavorare efficacemente.
Immaginate che tali collegamenti li avessimo iniziati dieci anni fa. Che differenza potrebbero fare rispetto al mondo di oggi?
Non è questa una delle sfide chiave per una città della conoscenza, per una città che voglia essere per i suoi cittadini anche città di apprendimenti continui? Non è questo, forse, un obiettivo degno dei suoi abitanti?
Provate a immaginare i vantaggi.
Migliaia di persone e organizzazioni che contribuiscono alla soluzione di problemi sociali, culturali, ambientali, politici ed economici. Un passo da giganti nella comprensione reciproca e nella trasformazione delle mentalità, attraverso una maggiore comunicazione tra persone e organizzazioni. Uno sviluppo economico, commerciale e tecnico redditizio attraverso il contatto tra le imprese e le industrie. Interazione attiva e coinvolgimento, un enorme aumento di risorse disponibili attraverso la mobilitazione del volontariato, di talenti, di abilità, esperienze e creatività tra città e regioni.
Meno migranti e rifugiati, perché i problemi di sviluppo possono essere previsti e affrontati attraverso la cooperazione tra le città.
Un sogno? No. Fatevi una ricerca sul web e avrete delle sorprese. Questo che può sembrare un progetto pionieristico è già in atto tra numerose città, dall’Australia al Canada, dalla Cina all’Europa, un vero proprio movimento per stabilire legami multilaterali tra città, fedi, culture e Paesi per facilitare la costruzione di un nuovo apprendimento e di una nuova comprensione del mondo.
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Giovanni Fioravanti
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