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E’ ora di incominciare a capire che siamo nell’era della complessità e che si è concluso il tempo della specializzazione esasperata. Questo non vuol dire che tutto l’accumulo di nozioni e della conoscenza enciclopedica sia inutile, anzi sarà il serbatoio da cui si potranno attingere le informazioni utili alla lettura e alla comprensione della realtà complessa, per poter rifondare la società, superando le insufficienze e gli erronei comportamenti, che hanno prodotto questa insostenibile realtà.

La novità governativa che sottolinea una nuova consapevolezza da parte della Presidentessa della Commissione europea Ursula Von der Leyen è l’aver intitolato Next Generation EU il progetto di finanziamento europeo in risposta a questa emergenza. Cioè non ha detto cosa, ma perché progettare e finanziare iniziative europee da parte dei singoli governi che ne sono i destinatari e quale dimensione queste debbano avere, cioè: almeno Europee.

Questa situazione ha accelerato la crisi della democrazia, che era già in atto nell’ormai consunta struttura democratica basata sullo scontro frontale fra forze dell’opposizione e forze di governo; in questi mesi il governo ha dovuto difendersi dai continui attacchi dell’opposizione, che hanno minato in questo modo l’autorevolezza delle scelte fatte e sottratto tempo e creatività al compito di costruire un progetto di fondazione di una nuova società, come richiede la crisi ecologica e la conseguente crisi sociale ed economica dovuta alla pandemia.

Non ha senso che, dal giorno dopo che si è eletto un governo, l’opposizione si senta legittimata ad affermare “da ora lavorerò perché questo governo cada”, come se i propri elettori vivessero in una realtà parallela, in una vita sospesa e non facessero invece parte dell’intera comunità del paese.

Queste due grandi crisi universali, ecologica e sociale, hanno sottolineato definitivamente che la terra è una per tutti e che l’umanità tende ad un’unica direzione. Da qualsiasi punto partano le società umane esse tendono a migliorare le proprie condizioni di vita e di sviluppo, espressione di una sempre maggiore libertà dalle necessità di pura sopravvivenza, fino all’espressione delle proprie caratteristiche individuali. Oggi è sempre più evidente che nessuno si salva da solo e che le scelte compiute dai singoli ricadono e coinvolgono, nel bene e nel male, l’umanità intera.

La pandemia ha messo in evidenza che i due ambiti che meno venivano considerati e che sono stati oggetto di tagli e impoverimento, perché considerati sacrificabili all’altare del PIL, sono i pilastri su cui si fonda la forza della società democratica: la cultura e il suo sviluppo e la salute e la cura della persona, per un continuo miglioramento della qualità della vita. Questi pilastri sono il fondamento della società democratica, perché riguardano il valore della persona umana e quindi la loro natura è complessa ed in continua evoluzione. Per questa ragione si tratta di argomenti che non possono essere affrontati per settori e ambiti separati, ma necessitano di una visione di pari complessità e lungimiranza.

Non si può quindi scindere la sfera dell’educazione della persona e del cittadino dalla sfera dell’espressione artistica e dei luoghi di fruizione di queste espressioni, come non si può separare il mondo della formazione dai luoghi della ricerca fino alla sua applicazione. Non si può sentir dire da Patrizia Asproni, Presidentessa di ConfCultura, che se non moriremo di Covid moriremo di “PEC”, per non essere in grado di accedere ai finanziamenti stanziati a sostegno di questo comparto.

La salute non si può separare dalla qualità della vita, in tutti i suoi momenti e in tutti i suoi aspetti, dalla nascita alla maturità, come pure dalla dimensione della singola persona, alla dimensione di comunità. Non si può accettare che il maresciallo Marco Diana – morto per le conseguenze del contatto con i proiettili all’uranio impoverito durante campagne militari all’estero e che ha dovuto lottare per far riconoscere la sua malattia come professionale – debba affermare in punto di morte: “Non so se è peggio il cancro o la burocrazia.” I funzionari statali dovrebbero, sentendo queste parole, essere i primi a vergognarsi profondamente e domandarsi il senso del loro impiego.

Una classe politica, che accomuna in un unico provvedimento e senza alcuna distinzione i cinema e i teatri alle sale bingo e da gioco, mostra quantomeno la sua incapacità di valutazione delle priorità, e l’appiattimento della lettura della realtà all’unico aspetto della produttività economicistica. Una classe politica che non si affretta a cancellare le complicazioni burocratiche che soffocano sia la democrazia che la capacità imprenditoriale dei cittadini, mostra per lo meno la sua impotenza rispetto al potere delle varie corporazioni, come quella dell’impiego statale, che sono state usate in modo clientelare in tempi di crescita del benessere e che adesso mostrano tutti i limiti di una struttura che si è moltiplicata per legittimarsi su una logica di controllo e di divieti.

Questo momento di crisi, la cui soluzione si basa su cittadini responsabili dei loro gesti e consapevoli del loro valore perché parte di una comunità più ampia, ha messo in evidenza il vero limite strutturale dell’organizzazione burocratica, che con la scusa dell’uguaglianza fonda le scelte sui protocolli dei loro deresponsabilizzando gli organi istituzionali e il singolo cittadino delle conseguenze dei loro comportamenti e delle loro scelte.

C’è bisogno di creare una cultura che dia valore alla persona, come fondamento concreto di una società che vuole dirsi umana. Bisognerebbe cogliere l’occasione per creare una nuova realtà politica come l’Europa Unita, riqualificando il concetto di democrazia in grado di governare il territorio e che abbia come scopo lo sviluppo di una società ecologica, che abbia come finalità la qualità della vita in ogni sua forma e non il Prodotto Interno Lordo.

Non sarebbe ora, quindi, di cogliere questo momento come occasione per darci gli strumenti per uscire dal disorientamento e dall’attuale senso di sconforto e di depressione, puntando sul nuovo anziché aggrapparsi al vecchio?

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Grazia Baroni

Grazia Baroni, è nata a Torino nel 1951. Dopo il diploma di liceo artistico e l’abilitazione all’insegnamento si è laureata in architettura e ha insegnato disegno e storia dell’arte nella scuola superiore durante la sua trentennale carriera. Ha partecipato alla fondazione della cooperativa Centro Ricerche di Sviluppo del Territorio (CRST) e collaborato ad alcuni lavori del Centro Lavoro Integrato sul Territorio (CELIT). E’ socia e collaboratrice del Centro Culturale e Associazione Familiare Nova Cana. Dal 2016, anno della sua fondazione, fa parte del gruppo Molecole, un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando con altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento. Fra i temi affrontati dal gruppo c’è lo studio e dibattito sulla Burocrazia, studio e invio di un questionario allargato sulla felicità, sul suo significato e visione, lavori progettuali sulla felicità, in corso.


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