Dal rigassificatore di Porto Tolle acqua sterile in mare. Pesca in calo. Sotto accusa l’impianto che fornisce metano all’Europa
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Lo guardano da lontano. Con sospetto e timore. Soprattutto dalle marinerie della costa emiliano romagnola, quelle a sud di Porto Viro, dove 15 chilometri al largo opera il rigassificatore di Adriatic Lng, società formata da Qatar Petroleum, ExxonMobil e Edison, tre colossi dell’energia rispettivamente detentori del 22, 71 e 7 per cento delle azioni.
Un fatturato di oltre 200 milioni annui
L’impianto, operativo dal 2009, impiega 125 persone, il 60 per cento delle quali venete, e copre il 10 per cento del fabbisogno di metano in Italia con una produzione annua di 8 miliardi di metri cubi. E un fatturato superiore ai 200 milioni di euro l’anno. L’attività del terminal rappresenta una fonte di approvvigionamento energetico di importanza strategica per tutto il nord. E il suo insediamento è stato salutato da un fondo di 12 milioni di euro per riscattare le differenti fasi di stress ambientali e contribuire allo sviluppo del Polesine, dove l’azienda ha investito ulteriori 250 milioni di euro attraverso la stipula di contratti con imprese e fornitori locali. L’ammontare della somma del fondo è stata stabilita con un accordo del 2008 tra Adriatic Lng, Provincia di Rovigo e Consorzio di Sviluppo del Polesine (ConSviPo) formato da Comuni, associazioni di categoria e enti.
Un’isola di cemento alta 10 piani in mezzo al mare, al largo del Parco del Delta
Da quattro anni l’isola di cemento armato e acciaio, alta come un palazzo di 10 piani, adagiata sui bassi fondali di un mare semichiuso e particolarmente atrofizzato come quello che incrocia il delta del Po, lavora a pieno ritmo. A pochi chilometri dal parco disteso tra due regioni, in un gioco di lagune, lingue di sabbia e spiagge. L’impianto, forte di un mix di tecnologie di ultima generazione, utilizza un procedimento industriale a ciclo aperto: significa che usa il calore dell’acqua di mare per riscaldare il gas, trasformandolo da liquido in aereo, e poi restituisce l’acqua al mare.
Da quando si pesca meno pesce, cosa comune a gran parte dell’Adriatico stando al rapporto 2012 del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, la domanda che si rincorre lungo le banchine è sempre la stessa. ‘E’ colpa del rigassificatore?’. Ad escluderlo è il piano di monitoraggio dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale approvato dal Ministero dell’Ambiente per testare le reazioni dell’habitat all’attività dell’impianto.
“Un’alterazione dell’ecosistema”
I pescatori dell’Emilia Romagna però vorrebbero un supplemento di indagine. Più a sud e con maggiori elementi di ricerca. Nella speranza di scongiurare quanto sostiene lo studio del comitato scientifico del Wwf di Trieste da qualche tempo al vaglio dell’Europa. ‘L’acqua di mare impiegata nel processo di rigassificazione negli impianti a circuito aperto viene restituita praticamente sterile, inutilizzabile per i servizi ecosistemici che rende all’ambiente’, si legge nello studio curato da Livio Poldini, Marco Costantini, Maurizio Fermeglia, Carlo Franzosini, Fabio Gemiti. Michele Giani e Dario Predonzan. ‘Si ha la perdita quasi totale delle forme di vita veicolate dall’acqua, uova, larve e avannotti, organismi planctonici e si induce artificialmente la selezione di quelle forme batteriche resistenti al processo di clorazione, che formano biofilm sulla superficie dell’acqua’, sostengono nella ricerca.
I pescatori sono in allarme
E’ un campanello d’allarme difficile da ignorare a fronte del trend decrescente di catture e ricavi dei pescatori per i quali le giornate di attività dal 2004 a oggi sono calate del 20 per cento. In Veneto e Emilia-Romagna, che vantano entrambe un giro d’affari annuale attestato sui 53 milioni di euro, la flotta è composta complessivamente da 1.442 imbarcazioni di vario tipo e ognuna ha perso mediamente una tonnellata di pescato passando da una media di 16 a 15. Sul versante Veneto è stata verificata una variazione nella composizione del pescato di cui si è parlato a fine agosto in un incontro tra pescatori organizzato a Chioggia al termine del fermo pesca. I tecnici dell’Ispra, Otello Giovanardi e Sasa Raichevich, hanno illustrato lo stato di salute delle risorse ittiche basandosi sui risultati di due campagne di pesca sperimentale a strascico promosse dal ministero delle Politiche agricole per tracciare la futura gestione della pesca.
Quattro gradi in più sul fondo marino, schiume giallastre e la magistratura indaga
Dalla ricerca è emerso come le catture del 2012 non si discostino di molto da quelle del 2011, almeno per quanto riguarda le specie più frequentemente imprigionate nelle reti. Se la presenza di barbone, seppie e canocchie è più o meno stabile, quella del molo è certamente calata. I due tecnici hanno descritto uno scenario ambientale diverso, con temperature più alte di 4 gradi sul fondo marino e una variazione verso l’alto della salinità. Mutamenti sotto osservazione, che disorientano il mondo della pesca. E mentre aumenta la preoccupazione nelle marinerie, il tribunale di Rovigo si prepara all’udienza filtro del 12 marzo, che vede due dirigenti di Adriatic Lng imputati di danneggiamento ambientale aggravato. Il sostituto procuratore Sabrina Duò contesta più episodi legati alla comparsa di abbondanti schiume giallognole, che nel 2010 hanno galleggiato sull’acqua in periodi differenti.
La schiuma è una spina nel fianco di Adriatic, che nel 2009 ne aveva segnalato a Ispra la formazione in seguito allo scarico delle acque di scambio termico del rigassificatore. Nel 2012 è poi arrivato un esposto di Eddy Boschetti presidente del Wwf di Rovigo relativo alla comparsa di una coltre bianca viscida e ghiacciata sulla spiaggia di Boccasette, nel comune di Porto Tolle, che ha gettato un sospetto sull’impianto. Nell’occasione, la società escluse ogni tipo di responsabilità, posizione tuttora sostenuta.
Il caso finisce in Parlamento
Tutto sta nei giochi per Boschetti, che ha le idee chiare: ‘In casi come questi non esiste un interlocutore diverso dal ministero, dobbiamo poterci appoggiare alla legge – dice – E’ ovvio che se ci sono maglie normative larghe, il privato interessato soprattutto al profitto cerca di sfruttarle nel proprio interesse. Sono le istituzioni a dover mantenere l’equilibrio in tutta la vicenda’. All’indomani dei galleggiamenti di schiuma Maurizio Conte, assessore regionale all’Ambiente del Veneto, scrisse all’ex ministro Corrado Clini per chiedere un tavolo di confronto sul fenomeno e, negli stessi giorni, a Roma, la deputata radicale Elisabetta Zamparuti presentò un’interrogazione a ben tre ministeri: Ambiente, Sviluppo economico e Agricoltura. La richiesta: chiarire la natura del fenomeno, conoscere le analisi di Ispra, valutare la possibilità di approfondirle indagando su cloro derivati organici e aloderivati. E di considerare l’opportunità di cambiare la lavorazione dell’impianto gasiero trasformandola da ciclo aperto in chiuso. Tutte cose importanti, aveva sostenuto la radicale, per scongiurare il rischio di danneggiare l’ecosistema marino creando danni all’economia costiera.
Anche la Commissione europea è allertata
Il tema del rigassificatore è approdato di recente anche in Europa per via delle interrogazioni dell’eurodeputato di Alde (Alliance for liberals and democrats for Europe) Andrea Zannoni membro della commissione Envi Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare al parlamento europeo. ‘Il timore è che rappresenti una minaccia per l’ecosistema marino e che sia la causa della recente strana moria di delfini e tartarughe trovati sulle spiagge romagnole – dice – In mancanza di studi comunitari sugli effetti dei rigassificatori, ho fornito alla Commissione europea lo studio del Wwf di Trieste perché possa far luce sull’impatto della lavorazione del ciclo aperto sull’ecosisistema marino. Può essere un modo per evitare eventuali disastri naturali e pericoli per le comunità costiere’. Intanto la Croazia, ricorda il parlamentare, nonostante avesse approvato un impianto con utilizzo di acqua di mare a Velia (Krk) ha fatto marcia indietro autorizzando la lavorazione a ciclo chiuso.
“Danni al turismo”: deciderà il tribunale di Rovigo
La vicenda è ‘glocal’, tanto locale quanto globale come testimonia il procedimento penale in corso, nel quale le associazioni ambientaliste, ma non sono le uniche, potrebbero chiedere di costituirsi parte civile nel processo Adriatic. ‘Abbiamo tempi molto stretti – dice l’avvocato Matteo Ceruti, conosciuto per l’impegno in difesa dell’ambiente – ma stiamo vagliando la possibilità di intervenire’. Per parte sua il giudice Duò ritiene il processo un’esperienza in divenire. ‘Ho contestato un danneggiamento aggravato anche pensando alla vocazione turistica del territorio’, spiega il magistrato, che si avvale della consulenza del dottor Giuseppe Perin dell’Università di Venezia. ‘Non dimentichiamo che gli episodi sono avvenuti al largo di spiagge frequentate dai bagnanti’. Le schiume, quando arrivano a lambire la costa possono compromettere la balneazione. Ma c’è di più. L’azione meccanica del rigassificatore oltre a scatenare la spuma nella quale, specifica la Duò, ‘non sono presenti inquinanti chimici’ agirebbe sul processo di fotosintesi e modificherebbe le cellule presenti nei microrganismi dell’acqua.
“Un impianto concepito per spazi oceanici”
‘Non credo che Adriatic si aspettasse una tale quantità di schiuma – dice il biologo marino Carlo Franzosini del comitato scientifico del Wwf di Trieste – L’impianto è stato concepito in America, è pensato per spazi oceanici, dove il contenuto organico è maggiormente diluito rispetto alle concentrazioni presenti nel mare Adriatico, che nel subire l’azione meccanica provocano una reazione eccessiva rispetto alle aspettative della società’.
Il terminal ha caratteristiche uniche al mondo
Il terminal, unico in tutto il mondo, lungo 180 metri largo 88 e alto 47, immerso in 29 metri di profondità, è collegato da 40 chilometri di metanodotto alla stazione di misura di Cavarzere da dove il gas, correndo per 84 chilometri lungo una condotta realizzata da Snam Progetti, raggiunge l’impianto di stoccaggio di metano più grande del nord Italia. La gigantesca struttura ha avuto la prima Autorizzazione Integrata Ambientale nel 2009, una certificazione triennale in scadenza nel 2015 per la quale Adriatic ha già avviato la richiesta di rinnovo per continuare un’attività che ha portato ad immettere nella rete nazionale dei gasdotti 26 miliardi di metri cubi di metano. Finora hanno attraccato al terminal 310 navi gasiere provenienti principalmente dal Qatar ma anche da altri Paesi. Ogni singolo carico trasformato dallo stato liquido a gassoso con l’ausilio del calore dell’acqua di mare contribuisce a diversificare le fonti energetiche. Va da sé l’assottigliarsi della dipendenza energetica del nostro Paese da altre nazioni.
Struttura strategica per l’Italia e l’Europa
‘La struttura è considerata strategica nell’approvvigionamento energetico italiano e comunitario’, spiega il responsabile delle relazioni esterne della società Alessandro Carlesimo. L’impianto, visitato in dicembre dall’ex ministro delle Sviluppo economico Flavio Zanonato, è stato però oggetto di un sollecito al ministero dell’Ambiente da parte dell’assessore regionale all’Agricoltura dell’Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, a cui i pescatori si sono rivolti per avere maggiori ragguagli sugli effetti dell’attività di Adriatic Lng sul mare. E, soprattutto, sugli stock ittici.
Com’è finita? Nessuna risposta per il momento. Né ai pescatori né alle nostre ripetute telefonate. L’unica cosa certa è l’incontro a porte chiuse tra l’assessore e Adriatic Lng di cui nulla si sa di ufficiale. Eppure i tanto attesi dati del monitoraggio Ispra, sui quali si sarebbe dovuto ragionare con l’assessorato, sono pubblicati sul sito della Provincia di Rovigo. ‘Da quelle risultanze si riscontra un ammanco di uova di pesce – dice Franzosini – Manca poi uno studio specifico del comparto dei pelagi comunemente conosciuti come pesce azzurro’.
“La pesca è in calo da quattro anni”
‘Sono quattro anni che le catture dei pesci sono calate – racconta Mario Drudi della cooperativa Casa del Pescatore di Cesenatico – Il dilatarsi del fermo pesca, la diminuzione delle giornate di lavoro, la proibizione di praticare lo strascico sotto le tre miglia non hanno portato alcun miglioramento. La causa non può essere attribuita all’eccessivo sforzo di pesca come si cerca di far credere. Bisogna indagare a 360 gradi, sarebbe opportuno ampliare il monitoraggio’. Il terminal, al pari di molti impianti industriali off shore, ricorda Sergio Caselli, responsabile di Lega Pesca Emilia-Romagna ha tolto miglia di mare ai pescatori di qua e di là dal Po e alle colture di mitili del rodigino. Il restringersi del campo d’azione ha colpito anche le marinerie emiliano-romagnole autorizzate a gettare le reti nei comparti confinanti, ma escluse dal piano di compensazioni del Polesine.
“Vogliamo capire se ci sono fenomeni inquinanti, ma l’osservatorio promesso non c’è”
Dei 12 milioni gestiti da ConSvipo, solo 2 milioni e 450 mila euro sono riservati al cofinanziamento di progetti di pesca professionale. ‘Non ho mai apprezzato l’accordo, avrei preferito negoziazioni più trasparenti che non fossero frutto di trattative private. Le nostre marinerie spendono milioni per il marchio di qualità, se succede qualcosa all’habitat chi le ripaga?’, dice Luigino Pelà di Lega Pesca Veneto. ‘Mi dispiace non sia stata rispettata quella parte del protocollo nella quale era prevista la creazione di un osservatorio della pesca, che ci permettesse una condivisione maggiore dei dati sui quali oggi non abbiamo un controllo diretto – continua – Il monitoraggio Ispra è difficilmente traducibile noi vogliamo capire se ci sono inquinanti, se l’ecosistema è cambiato. Se ci sono specie che oggi prevalgono su altre, sapere se ci sono problemi e quali in modo da pianificare in anticipo le nostre attività e trovare eventuali alternative per diversificarle’. E ancora: ‘A cosa servono le analisi fatte così? Ci costringono a navigare a vista. Avevamo chiesto in sede nazionale un’interazione con i nostri istituti di ricerca, ma non c’è stato seguito. Purtroppo paghiamo scelte politiche e strategiche, che non tengono conto dell’area dove ci troviamo’.
“Le responsabilità del rigassificatore sono tutte da verificare”
‘Negli ultimi 10 anni lo sforzo di pesca è diminuito del 30 per cento, interrogarsi sul motivo del calo quantitativo e qualitativo degli stock ittici è più che lecito e la risposta – dice Sergio Caselli – può venire solo da un maggior approfondimento scientifico con parametri più ampi, che riguardino anche un’estensione a sud dell’area campionata’. Dello stesso parere Vadis Paesanti, presidente emiliano romagnolo di Federcoopesca, che aggiunge altri elementi di riflessione sul diradarsi del pesce: ‘La questione trascende i confini regionali, siamo coinvolti in modo diretto insieme ai nostri 2mila addetti ai lavori. Tutti in difficoltà – spiega -. L’approfondimento è importante, come lo sono anche le valutazioni su esperimenti di salvaguardia messi in atto senza tener conto dell’esperienza dei pescatori. Si è pensato di difendere l’ecosistema vietando lo strascico sotto le tre miglia, in realtà nel delta del Po, l’utilizzo di quel metodo bonificava i fondali da un eccesso di limo. Era utile per la tenuta a regime dell’habitat’.
Giuliano Zanellato, presidente della cooperativa di Pilamare fondata nel 2009, una flotta di 13 pescherecci specializzata nella pesca del pesce azzurro, non fa mistero della necessità di ottenere un’operazione di maggior chiarezza nell’illustrazione dei dati dei campionamenti. ‘Che ci sia meno pesce è una realtà, ma non abbiamo dati scientifici per imputarne il calo al rigassificatore – dice – Certo mi sentirei più tranquillo se la Regione mi garantisse, attraverso l’impegno della multinazionale, una somma adeguata per formare una squadra di tecnici di fiducia delle cooperative a cui affidarci’. La Regione, a sua detta, ha guadagnato ben poco dell’insediamento del terminal la cui presenza è stata ripagata con il fondo gestito dal ConSviPo. ‘Dodici milioni complessivi sono briciole – conclude – Alla pesca hanno interdetto miglia di mare. Mi chiedo cosa accadrà quando la Provincia, così come la conosciamo, non ci sarà più e decadrà anche il Consorzio di Sviluppo, che si occupa dei rapporti con Adriatic. E’ bene che sia la Regione a gestire l’intera situazione’.
La fragilità del delta del Po, del mare nel quale i suoi rami si tuffano e l’accelerazione dei cambiamenti climatici sui quali si concentra l’attenzione dell’Europa, sono difficili da mantenere in equilibrio. Possono convivere gli interessi energetici con quelli economici di un comparto costiero tradizionale come la pesca e le esigenze ambientali del vicinissimo patrimonio Unesco, il Parco del Delta del Po, separato dal fiume che ne detta i confini amministrativi? In Emilia Romagna l’articolo 3 della legge regionale 24 del 23 dicembre 2011 parla chiaro. ‘L’ente deve inoltrarsi per 10 chilometri in mare nell’interesse della tutela dell’ambiente’, dice Lucilla Previati direttore del versante a sud del Parco. ‘E’ il motivo per il quale sono favorevole a un monitoraggio approfondito’.
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Monica Forti
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