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di Isabella Greghi

Mai come in questi giorni abbiamo la percezione di far parte di una società globale e di appartenere tutti ad un’ unica specie, quella umana.
Restiamo attoniti e affascinati dinanzi alla libera circolazione di capitali, merci, persone e perfino culture in un unico mercato internazionale. Tuttavia non dobbiamo stupirci se il rovescio della medaglia è amaro, se il dazio da pagare per questo complesso sistema mondiale è smisuratamente caro.
Con la stessa immediatezza con cui acquistiamo prodotti online da un altro continente, possono propagarsi fenomeni da Paese in Paese, senza lasciare immune nessuno. Ne è un esempio la crisi finanziaria del 2008 che, nata nei patinati uffici della Borsa di Wall Street, si diramò a macchia d’ olio provocando una situazione di stagnazione semi-globale. Questo perché l’uomo ha creato un contorto sistema mondiale in cui si scambiano non solo beni e servizi, ma circolano anche titoli, obbligazioni, interessi e velleità speculative, fintantoché, quello odierno, è stato decretato come Capitalismo da casinò. Il mondo nel quale viviamo è ormai privo di barriere protezionistiche, di una qualsivoglia regolamentazione e svincolato dalle tradizionali forme di difesa e sostegno proprie delle economie del dopoguerra. E così, la diffusione del covid19, risulta essere uno dei numerosi sintomi premonitori di un virus che è molto più radicato: la globalizzazione. Lo spargimento di tale agente patogeno è il più pesante contraccolpo del sistema globalizzato che l’ uomo stesso ha costruito. Sviluppatasi nella seconda metà del ‘900, la globalizzazione ha portato a trasformazioni inequivocabili dei settori più disparati, da quello finanziario a quello dei trasporti, dalle comunicazioni all’ informazione. E’ un mondo “compattato”, in cui gli eventi locali si adattano su scala mondiale: la suddetta pandemia, nata in Cina, nel giro di pochi mesi si è infatti diffusa in tutto il mondo, modellandosi alle diverse Nazioni, ed intensificandosi laddove sono precarie o mancano completamente igiene, sanità pubblica, tutele sociali. Col senno di poi, se questo fenomeno non fosse divenuto così totalizzante e invadente probabilmente ora non dovremmo misurarci con un evento di tale portata, perlomeno, saremmo riusciti a calmierare il numero di contagi, morti, disoccupati. L’ uomo è riuscito a trasformare quello che Anthony Giddens chiama “rischio naturale” ( cioè prodotto da forze non umane) in un rischio costruito: più che preservarci, le nostre azioni esasperano i pericoli causati dalla Natura stessa. Sin dalla filosofia illuminista l’ essere umano ha sempre proteso a dominare il mondo per migliorare la sua vita, finendo tuttavia vittima delle stesse leggi di dominio. Con grande narcisismo ci illudiamo attraverso termini quali progresso, innovazione, industrializzazione e scienza; ma siamo completamente disarmati e disorientati dinanzi a situazioni come quella che stiamo vivendo da mesi.
Paradossalmente, il mondo ordinato che volevamo creare si è rivelato avamposto di caos e disordine. Fatichiamo a gestire le conseguenze delle nostre stesse scelte. Ma oltre un certo grado di marasma generale si presenta sempre una crisi atta alla ripartenza. In questo caso, un’ epidemia globale. Il fermo forzato di cui stiamo facendo esperienza, è infatti occasione di riscatto da parte della Natura, la quale, dopo essere stata violentata dal discutibile operato dell’ uomo, si sta purificando; stiamo inoltre assaporando una nuova idea di identità nazionale, in cui solidarietà e aiuto sono chiavi di volta per unirsi nel fronteggiare le difficoltà; rappresenta anche una chance per l’ economia che, nonostante la grave scossa subita, si sta reinventando, sta lottando per riassestarsi con nuove idee, innovazioni, creatività e tanta voglia di fare.
Non si tratta di deprezzare o sminuire tutti gli effetti negativi che ha innescato, ma cercare di guardare questa condizione da un’altra prospettiva: quella del cambiamento collettivo. Potrà sembrare retorico, ma è estremamente necessario non smettere di lottare perché è proprio in questi momenti che bisogna reagire. Così come non bisogna vanificare tutti gli sforzi compiuti.

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