Cose da matti
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Scarse risorse, soluzione lontana. La rassegnata inerzia del presidente dell’Ausl, Claudio Vagnini, che traspare nelle dichiarazioni riportate da Estense.com in risposta a una denuncia dei sindacati, avrebbe certamente creato scandalo e magari fatto scattare una richiesta di sue immediate dimissioni se il riferimento fosse stato a una struttura sanitaria di servizio e accudimento destinato a cittadini “normali“.
Ma siccome è di San Bartolo che si tratta – residenza pubblica, ma destinata ai matti – ed è lì che, secondo l’esposto, circolano topi nei locali di cucina, bisce e scarafaggi in ogni anfratto, cimici e zanzare che non danno tregua ai degenti, ecco allora che tutto si smorza e s’attenua…
I matti e i cosiddetti sani sono ancora separati da un solido steccato di pregiudizi che relega i primi nel limbo della sostanziale indifferenza, nonostante decenni di battaglie per restituire la dignità di esseri umani a quelle donne e a quegli uomini che soffrono di disturbi psichici.
E poco conta che a San Bartolo, con i malati di mente, a patire gli effetti di una situazione da film dell’orrore ci siano anche medici, infermieri e personale di servizio: come si suol dire, chi sta con i matti tanto sano non è nemmeno lui. E dunque, pazienza.
Tutto questo proprio alla vigilia del ritorno nella civica pista ferrarese (ad opera del Centro teatro universitario) del prode Marco Cavallo, emblema in cartapesta della rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia che, esattamente quarant’anni fa, culminava con una legge – la 180 – che ha ribaltato la concezione di malattia mentale fino ad allora imperante e portato all’abbattimento dei muri fisici e culturali che cingevano i manicomi, e poi alla loro definitiva chiusura.
Oggi a Ferrara si compie un atto di vigliaccheria sociale. E paradossalmente avviene nella città che al dottor Antonio Slavich, stretto collaboratore di Basaglia, qualche anno fa conferì il premio Ippogrifo, a testimoniare la gratitudine della comunità verso “colui che seppe umanizzare i luoghi di cura e il rapporto con i malati e che in ogni circostanza, nella professione e nella vita, rifiutò le sbarre come soluzione ai problemi e si oppose ai ghetti come luoghi in cui rinchiudere il disagio e la sofferenza”.
Ma i tempi cambiano. E cambia il vento.

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Sergio Gessi
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani