Naturalmente non lo so. Non lo so io e non lo sa nessuno. Dentro il tunnel nero della pandemia, in queste settimane e mesi di sacrificio, schiere di analisti e sociologi, economisti ed epidemiologi, filosofi e futurologi si sono esercitati a immaginare scenari futuri. Utopie e distopie assortite. Ma tutte queste (e le tante altre che si aggiungeranno) rimarranno solo ipotesi. Perché i fatti certi sono solo due.
Uno. Che ci troviamo di fronte a una tragedia di enormi proporzioni, globale, planetaria: non paragonabile e niente di già accaduto nella nostra storia, forse nemmeno alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Che coinvolge tutti, nessuno escluso. Il povero e il ricco. Il vecchio e il bambino. Il Nord e il Sud del mondo. Anche se – come sempre accade – a pagare sono e saranno prima di tutto i più deboli, i più poveri, i meno protetti.
Due. Che da questo presente, da questo ‘tempo sospeso’, usciremo (quando usciremo) molto diversi – in meglio o in peggio – da come ci siamo entrati. Sarà diverso il mondo attorno a noi – la società, la politica, l’economia – e saremo diversi noi: le relazioni umane e il nostro rapporto con la natura, con il lavoro, con il tempo libero, con il consumo.
Tornerà tutto come prima? Come dopo una qualsiasi guerra o terremoto? Pensarlo è pura illusione.
Infatti già ora stiamo cambiando. Abbiamo ceduto un bel pezzo di libertà e di diritti. Li avevamo nello zaino da più di duecento anni – dalla Rivoluzione Francese – e facevano un figurone nella nostra bella Costituzione, ma ci eravamo tanto abituati (non al diritto al lavoro, quello è rimasto sulla carta) che ci eravamo dimenticati di averli i diritti. Ce ne siamo accorti solo quando, per salvarci la pelle, ci hanno sospeso libertà e diritti e ci hanno chiuso in casa.
In casa, guardavamo tutti i giorni in Tivù il conto di morti, guariti e contagiati, dal pulpito del capo della Protezione Civile, i consigli e le ingiunzioni di qualche alto papavero dell’OMS, le conferenze stampa a reti unificate del Presidente del Consiglio. E scaricavamo da internet l’ennesimo modulo di autocertificazione. Ci arrangiavamo con lo smart working e con l’apprendimento a distanza.
Intanto sta arrivando la tanto discussa App Immuni – con questo o con altro nome – con cui saremo ‘temporaneamente sorvegliati’: osservati, ascoltati, registrati a distanza H 24. Non sarà obbligatoria (bontà loro), ma volontaria. Potremo cioè decidere se aderire o no a questo The Truman Show collettivo e ci assicurano che “tutti i nostri dati verranno cancellati entro il 31 dicembre”.
Comunque la si valuti, Immuni appare una iniziativa inquietante. Anche perché su di noi, sulla nostra libertà di scelta, verrà esercitata una pressione psicologica e mediatica formidabile. A cui sarà difficile sottrarsi. Saremo spinti ad aderire in nome della battaglia contro il terribile morbo, della difesa della nostra salute e di quella del nostro prossimo, della sacrosanta obbedienza alle prescrizioni di medici, tecnici e scienziati.
Sullo sfondo, senza dircelo apertamente, ci verrà proposto un drammatico scambio. Sicurezza al posto di libertà, Salute in cambio della rinuncia ai nostri diritti.
Una corrente di pensiero – chiamatela pure ‘estremista’ – da almeno vent’anni sostiene che già oggi – con l’avvento al potere dei colossi come Google e Amazon, cioè molto prima di Covid-19 – siamo ‘sotto regime’. Che non siamo più cittadini, ma siamo stati (silenziosamente, subdolamente) trasformati in sudditi/consumatori. A dettare le regole, a indurre i nostri comportamenti, a governare il mondo è un nuovo potere, ‘il capitalismo della sorveglianza‘. Ne consegue che partiti, parlamenti, governi sarebbero ormai solo un paravento, un simulacro (vengono in mente Philip K. Dick e William Gibson e i romanzi della miglior science fiction), mentre dietro di loro sarebbe già all’opera una nuova classe dirigente fatta di tecnici e scienziati.
Non sono in fondo già loro, gli alti gradi dell’apparato tecnico scientifico (tutti maschi, ovviamente) a parlare a reti unificate tutti i pomeriggi alle ore 18.00? Sono loro a informare, istruire e dare ordini al popolo in ascolto.
Non credo che questo ‘Stato di Emergenza’ incarni già ora una inedita dittatura tecnico-mediatica. Non siamo – non siamo ancora – al Grande Fratello profetizzato da George Orwell, ma il pericolo esiste. Potremo uscire dalla Grande Crisi molto meno liberi di quanto ne siamo entrati. Sarà sufficiente che, spinta dalla paura, la maggioranza sia indotta a scambiare Libertà e Democrazia per la Sicurezza e la Tranquillità. Da cittadini, imperfetti quanto si vuole, diventeremo allora servi obbedienti.
Eppure, dentro la Grande Crisi – e abituiamoci: non durerà settimane, ma mesi, forse anni – accadono anche cose nuove e buone, anticipazioni di un futuro diverso e migliore: o per meglio dire, di più futuri possibili: “futuri alternati” o “futuri paralleli” li chiama Philip K. Dick nelle sue visioni in forma di romanzo.
Non mi riferisco ai ‘medici eroi’, anzi, con tutto il rispetto e l’ammirazione che dobbiamo a coloro che hanno affrontato l’emergenza sanitaria ‘a mani nude’ e hanno perso la vita, trovo stucchevole, autoassolutorio, in una parola: insopportabile questo refrain mediatico, questo ritornello dei ringraziamenti agli eroi. Così come è insopportabile la nuvola di buonismo che sembra avvolgere tutti e tutto.
Invece sono successe cose importanti: dentro ognuno di noi. Nel nostro cervello: nella nostra coscienza, se la parola non vi sembra eccessiva. Abbiamo imparato delle cose, e le abbiamo imparate in fretta, grazie ad un ‘corso accelerato’ imposto dal distanziamento sociale, la clausura, i negozi chiusi. Una inconsapevole lezione di sobrietà. La scoperta che si può vivere con molto meno di quello di cui ci pareva di avere assolutamente bisogno e che eravamo abituati ad avere, a comprare, a consumare, a gettare nella spazzatura. O che si poteva e si doveva dare più spazio, valore, importanza alle relazioni umane e sociali: al vicinato, all’incontro, all’autoaiuto, alla solidarietà. E che farlo non era solo ‘buono e giusto’, ma che ci dava piacere, ci gratificava, ci rendeva un po’ felici.
Se non dimenticheremo questa lezione (mi viene in mente mia nonna quando irrideva quelli che, quando gli insegnavi una cosa, quella cosa “gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro”), se, appena riaperto ‘il mondo supermercato’, non faremo ressa per procurarci una (proprio e solo quella) tra le diecimila merendine rosse-gialle-verdi che ci offrirà il Pensiero Unico, se insomma ci verrà voglia di un mondo diverso e saremo capaci di tradurre questa voglia in fantasia, in dialogo, in azione, se saremo disposti – prima di tutto i giovani e giovanissimi – all’impegno personale e alla mobilitazione sociale.
Ho messo in fila una sfilza di se, che, come è noto, fanno lavorare il cervello ma non fanno la storia. Se però qualcuno di questi se diventerà realtà, allora l’esito della Grande Crisi potrebbe riservarci una bella sorpresa. Invece di incamminarci verso un Grande Fratello (modello cinese o sudamericano, poco importa) potremo imboccare una strada diversa e un futuro migliore per le nuove generazioni.
Due mesi fa, su questo stesso giornale, scrivevo cronaca e impressioni della prima terribile settimana di clausura. Chi volesse leggerle prima di finire questo scritto di oggi le trova [Qui]
Abbiamo appena ‘festeggiato’ il Primo Maggio, una festa dei lavoratori surreale (ma quasi tutto quello che da qualche mese succede attorno a noi merita questo aggettivo): le piazze sono vuote, i ragazzi senza scuola, i lavoratori a spasso. A spasso, cioè senza lavoro: in realtà chiusi in casa. A tutti hanno dato un po’ di cassa integrazione, oppure un pugnetto di soldi, ma per molti la possibilità di tornare al proprio posto di lavoro appare solo una vaga ipotesi. Le cifre sono impressionanti. Nel giro di qualche settimana: 30 milioni di disoccupati in America (che a gennaio vantava la piena occupazione), 10 milioni di posti persi in Germania. Non fatemi scrivere il numero dell’Italia.
Oggi è lunedì, il ‘fatidico 4 maggio’ (forse passerà alla storia come il 5 maggio, quando se ne andò Napoleone), oggi e finita la quarantena collettiva . Finalmente si può mettere il naso fuori di casa, si incomincia a uscire, si possono fare due passi, incontrare qualche ‘congiunto’ (linguaggio del Presidente del Consiglio, il giurista di piccolissima taglia che ci è capitato in sorte). Sempre e comunque armati di mascherina e di moltissima cautela.
Poi, ma solo forse, a tappe successive, riavremo indietro qualche altro pezzo di libertà. Poi l’estate, e anche quella sarà un’estate diversa da tutte le estati che l’hanno preceduta.
Alla fine – non so quando e non lo sa nessuno – potremo “riveder le stelle”. Guardo in alto, il cielo, comincia a fare buio, come sarà il Firmamento? Neppure questo riesco a immaginarlo, quello che so è che “nuovi cieli e la Terra nuova” dipenderanno da ognuno di noi.
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Francesco Monini
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