“Oggi in Italia si parla molto di corruzione, per forza di cose”, ha affermato il giudice Gioacchino Polimeni, direttore di Unicri (Istituto internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia), aprendo lunedì mattina nella sala Consiliare del dipartimento di Giurisprudenza di Unife, l’incontro di ‘La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione’, parte del programma della Festa della Legalità e della Responsabilità 2017.
La corruzione è ormai un tema fortemente presente, quasi martellante – purtroppo – nella cronaca quotidiana italiana: da gennaio a ottobre 2017 sono più di 560 i casi di corruzione riportati dai media. Inoltre l’Indice di percezione della Corruzione (Cpi) dell’associazione internazionale Transparency International, che misura la corruzione nel settore pubblico e politico di 176 paesi nel mondo, vede l’Italia al 60° posto nella classifica globale.
Tuttavia, a parere del magistrato, “è un momento importante per la lotta alla corruzione in Italia”, per “la sentenza sul caso di Mafia Capitale” che, pur non avendo riconosciuto la fattispecie di associazione mafiosa per l’organizzazione di Carminati, getta importanti elementi “a livello di intrecci fra reati di mafia e reati di corruzione” e soprattutto per le modifiche appena apportate al Codice Antimafia.
Polimeni si è detto, infatti, “colpito dell’apertura verso la corruzione del nuovo Codice Antimafia”, che ha definito – in senso positivo – “un’avventura” del legislatore italiano.
Oltre a nuove norme volte a riorganizzare e potenziare l’Agenzia nazionale per i beni confiscati e a forme di sostegno per consentire la ripresa e la continuità produttiva delle aziende sequestrate e misure a tutela dei lavoratori, con il nuovo Codice approvato in via definitiva a fine settembre 2017, si allarga il perimetro dei possibili destinatari cui possono essere applicate le misure di prevenzione personali e di natura patrimoniale: chi è indiziato di terrorismo o di assistenza agli associati a delinquere, ma anche chi è indiziato di associazione a delinquere finalizzata ad alcuni gravi delitti contro la pubblica amministrazione, tra cui peculato, corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari, concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità.
Quindi, c’è una doppia estensione: “l’applicazione delle misure di prevenzione del sequestro e della confisca, oggi applicate agli indiziati di appartenenza alla mafia, non solo al condannato, ma anche all’indiziato di corruzione”.
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 ed entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005, è la prosecuzione di un processo di costruzione di strumenti giuridici comuni per contrastare i crimini a livello internazionale iniziato con la Convenzione di Palermo sul crimine organizzato transnazionale del 2000. L’Italia “l’ha ratificata nel 2009” e attualmente è stata sottoscritta e adottata “da 183 paesi, quindi è uno strumento che possiamo definire mondiale”. Uno dei principali elementi distintivi, a parere del giudice Polimeni, è l’attenzione alla prevenzione: “le delegazioni che hanno lavorato alla sua redazione” erano cioè convinte che in materia di corruzione “la prevenzione conta altrettanto se non di più, rispetto alla previsione e alla repressione dei reati”. Una prevenzione, ha specificato il magistrato, concepita come controllo ed educazione nello stesso tempo. Da qui “l’obbligo di costruzione di una politica e di strategie olistiche di lotta alla corruzione, in altre parole i governi devono pensare a cosa vogliono fare per il contrasto alla corruzione” e come farlo; “l’obbligo di costituire codici di condotta e particolari metodi di selezione per i funzionari pubblici” e inoltre “particolari procedimenti per gli appalti pubblici”.
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Redazione di Periscopio
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