L’Articolo 45 della Costituzione italiana dice che “la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”. Nel tempo le forme della cooperazione si sono evolute, adeguandosi alla struttura sociale ed economica del territorio e diventando baluardo di un sistema che, per principio, fa della mutualità – e non dell’accantonamento – il perno centrale dal punto di vista economico e di azione sociale.
Fra le diverse forme di cooperativa, la Legge n. 381 del 1991 definisce le ‘cooperative sociali’, imprese che “perseguono l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi e di inserimento lavorativo di persone svantaggiate”.
In Emilia Romagna la cooperazione sociale è composta da realtà che operano in ambito socio-sanitario, assistenziale, educativo ma anche in settori produttivi diversi dai servizi sociali, riguardanti attività di produzione e di servizi. Con il Piano sociale sanitario regionale 2008-2010, infatti, la Regione Emilia Romagna aveva riconosciuto l’importanza della cooperazione sociale nella costruzione del welfare di comunità, per far fronte ai nuovi e rilevanti bisogni sociali e – grazie al Protocollo d’intesa per lo sviluppo del welfare regionale, siglato nel marzo 2009 tra Regione – Autonomie locali e organizzazioni della cooperazione sociale dell’Emilia Romagna avevano riconosciuto la cooperazione sociale come “espressione efficace di sintesi tra solidarietà ed efficienza economico imprenditoriale” nelle politiche economiche e di sviluppo territoriale.
Nell’immaginario comune, però, il termine cooperativa e impresa sono discordanti: la prima “assiste”, la seconda “rischia” sul mercato. In verità, ad oggi le cooperative sociali sono spesso delle imprese che godono di pieno riconoscimento dal punto di vista produttivo ma anche di un regime fiscale agevolato, che le rende – a detta di molti tributaristi – uno strumento di evasione fiscale autorizzato.
Nel giugno del 2014 l’Unioncamere dell’Emilia Romagna aveva presentato un dossier sui dati locali circa le cooperative e le loro attività, a cura del gruppo Clas, inserito nel Sistema monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro, realizzato in collaborazione con l’Inps. Dai dati del dossier, si evince che a giugno 2014 le cooperative attive a Ferrara erano 384 e davano lavoro a circa 7.287 addetti, dei quali quasi 7.000 dipendenti, ossia lavoratori che prestano opera nella cooperativa per almeno un giorno nel mese. Fra queste 77 erano cooperative sociali, 57 delle quali con addetti dipendenti per un totale di oltre 2.200 lavoratori. Di questi il 92% è impiegato nel settore dei servizi e il 46,4 ha fra i 35 e i 49 anni, il 61% è costituito da donne, oltre l’81% ha un contratto a tempo indeterminato e i contratti full time si fermano al 30% mentre i part time sono al 70%. Lo stesso Sistema di monitoraggio di Unioncamere, sempre al giugno 2014, contava a Ferrara 32.971 aziende per un totale di 102.251, con 65.871 lavoratori dipendenti (ossia con un contratto, anche a tempo determinato, che rispetti un monte ore prestabilito). In pratica, comparando la forza lavoro delle aziende ferraresi a quella delle cooperative, mentre la media di addetti per le aziende è di 3 lavoratori ognuna, quelle delle cooperative arriva a 19.
A Ferrara il mondo cooperativo è quindi vivo e in continuo fermento, sicuramente riveste un ruolo importante nelle attività sociali del territorio, mantenendo attivi con la propria opera gli ambiti dei servizi alla persona che non sono sostenuti dei servizi pubblici, andando a sostituirsi o ad integrarsi con questi. L’ufficio studi Agci, dell’area studi Confcooperattive e del centro studi Legacoop, hanno pubblicato uno studio lo scorso settembre sullo stato dell’arte nel mondo economico delle cooperative e, dai rilevamenti effettuati, risulta che il 51% delle Coop non abbia subito variazioni di rilievo sul fatturato complessivo e che quasi il 25% ne abbia rilevato una crescita; lo scorso ottobre l’Alleanza delle cooperative italiane di Ferrara, che riunisce Legacoop, Confcooperative e Agci, sbandierava la notizia che il valore della produzione delle cooperative supera il miliardo e mezzo di euro e contribuirebbe alle casse dello Stato in misura maggiore rispetto alle società per azioni, con un 7,7% contro un 6,8% (dato 2013) grazie al minor peso degli oneri sociali e delle imposte sui redditi da lavoro.
Come si legge sul sito di Legacoop, la cooperativa è un’impresa a tutti gli effetti e quello che la caratterizza è la ripartizione degli utili: è prevista la possibilità di dividere parte degli utili tra i soci ma rispetto alle altre società di capitali ha un obbligo a reinvestire la gran parte degli utili nell’impresa. Le cooperative hanno alcuni vantaggi fiscali in relazione al fatto che parte degli utili della cooperativa non vengono distribuiti tra i soci, ma vengono nuovamente investiti nell’impresa, al fine di garantirne la continuità nel tempo, favorire le nuove generazioni, creare nuove opportunità di crescita e di occupazione.
Una particolare tipologia di cooperative è quella delle cooperative sociali, che essendo organizzazioni non lucrative di utilità sociale, meglio note con l’acronimo “Onlus”, rientrano nella categoria del non-profit e godono di agevolazioni importanti. Le cooperative sociali devono rispettare una serie clausole espressamente richieste dalla legge che vengono inserite nell’atto costitutivo (il divieto di distribuzione, anche in modo indiretto di utili ed avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale, l’obbligo dell’utilizzo di utili o avanzi per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse, il pagamento di stipendi più alti del 20% oltre il minimo sindacale).
Notevoli però i vantaggi garantiti da questa forma societaria, in primis l’esclusione dalla base imponibile dei pagamenti erogati dalle Pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di attività in regime di convenzione o accreditamento, nonché i fondi pervenuti in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Inoltre, i contributi corrisposti da enti pubblici sono esenti dalla ritenuta d’acconto del 4% e tutti i redditi di capitale, ad eccezione dei dividendi che concorrono a formare l’imponibile nella misura del 5% del loro ammontare, sono assoggettati a tassazione con il sistema della ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Non è poi dovuta l’imposta sugli intrattenimenti per le attività di spettacolo svolte occasionalmente dalle onlus in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze, o campagne di sensibilizzazione e – per quanto attiene all’imposta sul valore aggiunto, l’imposizione fiscale è subordinata all’esercizio di un’attività commerciale cui conseguono gli obblighi di richiedere l’attribuzione di un numero di partita Iva e di tenere una contabilità separata al fine di fruire del diritto alla detrazione sugli acquisti.
Ai fini previdenziali e assistenziali i soci lavoratori ordinari sono equiparati ai lavoratori subordinati, mentre per i lavoratori definiti persone svantaggiate è previsto che le aliquote complessive di tali contribuzioni obbligatorie siano ridotte a zero e -in ogni caso- le persone svantaggiate (soci e non) che vi lavorano devono costituire almeno il 30% dei lavoratori delle stesse. Per quel che concerne le attività propriamente istituzionali, invece, trova applicazione il regime dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto se le medesime sono relative al trasporto di malati e feriti, prestazioni educative in favore dell’infanzia e della gioventù, nel ricovero, cura ed assistenza in favore di persone svantaggiate e, infine, nella formazione, aggiornamento e riqualificazione professionale – segmenti principali di cui si occupano le cooperative sociali. Sotto il profilo degli adempimenti contabili è previsto l’esonero dall’obbligo di emissione della fattura o dello scontrino fiscale per le attività istituzionali. Rispetto alle altre imposte indirette, gli atti da sottoporre ad imposta di registro sono assoggettati al tributo con applicazione della misura fissa ad eccezione delle locazioni per le quali, invece, la misura è pari al 2% e non sono tenute al versamento dell’imposta di bollo e della tassa sulle concessioni governative.
A Ferrara le cooperative sociali operano nei campi dell’educazione (gestendo asili nido, scuole dell’infanzia, ludoteche, spazi bambini, per conto di enti pubblici e soggetti privati ed ha attivato, presso diverse strutture, servizi integrativi al normale orario scolastico), accoglienza e sostegno ai richiedenti asilo e rifugiati, dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e a rischio di marginalità sociale, si occupano di ambiente e raccolta dei rifiuti speciali, ristorazione e mobilità sostenibile. A livello empirico, supponiamo di avere una Srl e una società cooperativa che svolgono le stesse attività, gestiscono la stessa mole di business e di addetti, dei quali il 40% provenienti dalla casistica del reinserimento sociale, hanno in essere 10 contratti dei quali 4 con le pubbliche amministrazioni, ognuno dei quali pagato 25.000 euro. Mettiamo anche che le due imprese debbano sostenere i costi di gestione di una struttura in affitto e quelli ordinari per le forniture. Applicate a tutte le variabili descritte le imposte dovute dai due soggetti e applicate le aliquote di detrazione agevolate ne risulta che la cooperativa risparmierà alla fine dell’anno di lavoro oltre il 50% di spese (fra imposte ed il resto dei costi deducibili). Tutto in sintonia con le direttive di legge, certo. Seppur vero che la rilevanza sociale dell’operato delle cooperative è altissimo e che il reinvestimento di una parte degli utili nel futuro delle attività ne garantisce la continuità, tenendo presente che quelle che lavorano su Ferrara sono moltissime e – grazie al loro buon lavoro e alla fiducia conquistata verso la pubblica amministrazione e le istituzioni – impiegano tanti lavoratori, ci si interroga sull’opportunità, data la mole di business, di richiederne l’adeguamento ad una forma societaria più coerente con le proprie capacità imprenditoriali, così come per esempio avviene con le moderne imprese start-up.
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Ingrid Veneroso
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