I bambini che aspettano
Non ho quasi mai tradito la rima. Quel giorno mi è capitato, senza pretese, cercando una forma per dire di quei bambini che guardano ai grandi, agli adulti, pieni di speranza e di attesa. Una fiamma che si spegne poco a poco, per ogni delusione che si aggiunge alle precedenti.
I bambini che aspettano
hanno il cuore contuso.
Contano i giorni
solo fino a dieci.
Poi ricominciano con voce più fioca.
I bambini che aspettano
hanno gli occhi d’attesa.
Si gonfia a ondate
e sfrangia nell’intrico dei motivi
che buttano carbone nella calza.
I bambini che aspettano
inventano storie
di mostri e giganti
danzanti nella giungla dei padri
– loro no, non possono capire
si sa, sono piccoli –
ma devono annidarsi
(i giganti, s’intende)
da qualche parte del corpo.
O in qualche scontro
o in qualche dose
o in qualche bottiglia spezzata.
Nel guardie e ladri spinto
che appunto sanno i grandi.
In tutto il non amore che
avvelena le notti
In tutto il non amore che
tradisce l’attesa
In tutto il non amore
che un bambino non contempla
che un bambino non prevede
ma che può imparare.
Un bambino trascurato può facilmente sviluppare problemi di relazione. Una bambina trascurata ha buone probabilità di non stimare se stessa. I figli messi in un angolo ad aspettare – che papà smetta di bere, o mamma di drogarsi, o… o… – non sono fagottini indifferenti. Neppure interruttori che si possono accendere e spegnere – genitori ON e OFF – a proprio piacimento. Il non amore torna indietro, travestito dall’adolescenza, e risponde al male subito.
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Elena Buccoliero
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