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Questa ragazzina dolcissima voleva tanto credere al suo papà che prometteva di “rimettersi a posto” ma faceva una fatica terribile a mettere da parte tutti i giorni e le notti che lo aveva sentito lontano, o che lo aveva visto arrabbiarsi senza ragione solo per uscire di casa sbattendo la porta, o che aveva lasciato a secco le casse della famiglia perché i soldi se li era giocati al bar…

A una ragazzina triste

Con un filo d’inchiostro
con un filo di voce
voglio dirvi del mostro
che mi ha tolto la pace.

Con un giro di danza
con un giro di vite
vi presento la stanza
dove sono finite

le risate d’un giorno
per quel falso traguardo
che la gente qui intorno
chiama gioco d’azzardo.

Così allungo una mano
per cercare papà
e lo sento lontano,
e mi accorgo che già

segue un suo desiderio
che non posso vedere.
Io lo penso sul serio:
non lo posso accettare.

Dopo il vuoto di affetto
dopo il vuoto nel frigo
quel che batte nel petto
dice: “Io non mi fido”.

Sono incontri protetti
ma protetti non sono.
Entro coi pugni stretti
e non chiedo perdono

se gli dico “Codardo”
e lo voglio cacciare
e poi, appena lo guardo
io lo voglio abbracciare.

Questo è il mostro vorace
(ve lo dice la rima)
che mi ha tolto la pace
e sono ancora bambina.

Il gioco d’azzardo, una dipendenza ancora sottovalutata, può distruggere una famiglia come e quanto l’alcol o l’eroina. Ha meno implicazioni con gli ambienti criminali, almeno per chi si limita a frequentare i bar, ma alimenta divisione e violenza, mette i legami familiari all’ultimo posto e toglie anche ai bambini la presenza di un genitore attento su cui contare. Vista dalla parte dei figli, è una causa di continua contraddizione: ricerca e rifiuto del padre o della madre, comprensione e condanna, accettazione e rivendicazione, tenerezza e rabbia. 

CONTRO VERSO, la rubrica di Elena Buccoliero con le filastrocche all’incontrario, le rime bambine destinate agli adulti, torna su Ferraraitalia  il venerdì.
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Elena Buccoliero



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