Poche volte mi sono discostata dalle storie di bambini e famiglie conosciuti in udienza oppure attraverso la cronaca. Questa è una di quelle volte.
Scritta dopo il naufragio del 18 aprile 2015 nel quale hanno perso la vita tra le 700 e le 7000 persone, la filastrocca resta attuale e il punto non è il numero di vite uccise.
Filastrocca delle lacrime e dei naufragi
Son gocce dentro al mare.
I sorsi più salati
li voglio dedicare
a quelli mai arrivati.
Al bimbo che cercava
un posto per studiare,
all’uomo che sognava
un luogo per campare.
Piango per 700,
per 7 o 7000
piango per ogni uomo
stipato in quella fila
di volti martoriati
di corpi ormai perduti
di sogni naufragati
di figli sconosciuti.
Piango per il più orrendo
di tutti i bastimenti,
un barcone tremendo
di compaesani deficienti
perché chi si separa
anche dalla pietà
mi sta rubando l’aria
e non lo voglio qua.
Portatemelo via
in Libia o in Tunisia,
costretto su un barcone
d’incerta destinazione.
In gita in mare aperto
o a spasso nel deserto
di giorno, e notte e giorno
col dubbio del ritorno.
Adesso chiedo scusa
dei versi esagerati
ma non mi sembra un merito
se è qui che siamo nati.
O forse ve l’ho detto
sommersa dal disagio
di constatare l’uomo
perduto nel naufragio.
Scartare la paura
affondare l’odio
Rifiutare la paura
bombardare l’odio
Fermare la paura
Navigare l’odio
Annichilire la paura
Trasformare l’odio
Chi perde la vita nel Mediterraneo fa naufragio, ma non è il solo
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Elena Buccoliero
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