“Contro Ventotene”:
ma la capriola storica del prof. Somma sbaglia il bersaglio
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Alessandro Somma, del quale ho avuto modo di apprezzare l’impegno di studioso e cittadino durante la permanenza ferrarese, presenta a Ferrara (il 25 marzo presso la libreria IBS, Ndr) un suo libro dal titolo ributtante “Contro Ventotene. Cavallo di Troia dell’Europa neoliberale”. Lo fa in dialogo con un amico, che pure stimo.
L’inizio della prefazione è promettente “Per uno studioso la messa in discussione dei miti, e al limite la loro demolizione, è un imperativo categorico: è così che il sapere avanza, resistendo alla forza attrattiva dell’immobilismo intellettuale e offrendo nuovi materiali sui quali esercitare lo spirito critico e il culto del dubbio”. È opera particolarmente necessaria giacché “Il solo tentativo di gettare uno sguardo meno osannante su quella vicenda, se non mira semplicemente a chiarire i punti oscuri del Manifesto al fine di metterne a fuoco la valenza di testo sacro del pensiero federalista, identifica invece lo sparuto gruppo dei cattivi nazionalisti o peggio sovranisti”.
“Sparuto gruppo”, verrebbe da aggiungere, con sfumature dal grigio al nero, al governo nella nostra città e in testa in tutti i sondaggi di intenzione di voto, in Italia.
Apprendiamo che all’autore non bastano le critiche da sinistra, esemplificate da un simpatico romanzo “La macchina del vento”, perché “Da queste critiche non discende però una condanna dell’europeismo in quanto tale, bensì della sua declinazione attuale, ovvero della sua complementarità rispetto al progetto neoliberale”. Per polemizzare con la deprecata conversione al neoliberismo della sinistra storica non trova di meglio che prendersela con il Manifesto, che sarebbe altrimenti già dimenticato, oltre che con la personalità confusa e irrisolta di Spinelli.
Prosegue Somma: “Non è dunque un caso se il Manifesto di Ventotene, dopo una iniziale limitata circolazione, è sostanzialmente caduto nell’oblio in Italia e soprattutto negli altri Paesi europei. Se da noi è stato riscoperto in tempi relativamente recenti, è solo perché la sinistra storica se ne è servita per confezionare retoriche buone a spargere una cortina fumogena sulla sua imbarazzante conversione al neoliberalismo. Se così non fosse stato, Spinelli sarebbe ora ricordato semplicemente come personalità confusa e irrisolta, o più probabilmente lo si sarebbe dimenticato”.
In numerosi saggi, in lunghe interviste sul web, Somma ha anticipato i contenuti del libro. Le critiche a cosa è divenuta l’UE sono motivate e spesso condivisibili. Al centro è però l’idea che il ring più opportuno, nel quale condurre il conflitto redistributivo tendente alla giustizia sociale, sia lo stato nazionale sovrano. Sovrano all’interno e pure all’esterno, nei limiti previsti dall’art.11, che non autorizza cessioni di sovranità, ma solo limitazioni. Niente Europa dunque e men che meno federale, salvo si dimostri che in quel ring, da costruire, i lavoratori avrebbero maggiori opportunità e tutele.
Trovo singolare, per non dire altro, l’idea che al potere sovrastante dei mercati possano meglio rispondere Stati nazionali e non la loro unità federale, questa sì da costruire.
Ricordo spesso Lelio Basso che, mezzo secolo fa annota: “nonostante Marx avesse lanciato il famoso appello ‘proletari di tutti i paesi unitevi’ i proletari se ne sono dimenticati, e i capitalisti se ne sono ricordati”. Così “La democrazia appare sotto assedio. Un pugno di manager di immense multinazionali fa e disfa quello che vuole. Gli altri miliardi di uomini sono complici o schiavi. Se si rifiutano, nella migliore delle ipotesi, sono emarginati e non contano niente”.
Colpa di Ventotene? Consiglio la lettura di “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto” (in rete è possible scaricarlo dal sito della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli). È breve. È un testo, non sacro ma straordinario, del 1941, clandestinamente diffuso già quell’anno, portato fuori dall’isola dalle mogli dei confinati, Ada Rossi e Ursula Hirschmann. È altro dalla caricatura che ne fa Somma, preoccupato così di difendere il potere dei lavoratori. Lo stampa, per una più ampia diffusione, nel 1943 Eugenio Colorni, il cui contributo al progetto di manifesto è poco ricordato, rispetto agli estensori Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Vent’anni prima, nel 1923, quando il fascismo difende gli italiani dalla prepotenza dei mercati, Giacomo Matteotti, che ha a cuore, almeno quanto Alessandro Somma, il potere dei lavoratori, scrive nelle Direttive al Partito; “L’Internazionale socialista mira invece a difendere e sostenere sempre la comune causa del lavoro, contro il parassitismo e la speculazione sfruttatrice dei diversi capitalismi. Dovrà quindi tentare o favorire ogni iniziativa che dirima i conflitti tra i popoli, li associ con vincoli pacifici, eviti o faccia cessare le opposte violenze e minacce. Dovrà favorire il formarsi di una vera Lega delle nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d’Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli stati turbolenti e rivali”.
E in Parlamento “Sollecitiamo ardentemente con l’opera nostra, che è nazionale e insieme internazionale, sollecitiamo la formazione degli Stati Uniti di Europa, non rimandandola idealmente dopo il socialismo, ma affrettandola praticamente, perché essi costituiscono un anticipo sul socialismo, un avviamento al socialismo, un riconoscimento e un affratellamento fra i diversi lavoratori di tutte le nazioni, eliminando tante deviazioni e contrasti apparentemente nazionali, ma sostanzialmente capitalistici”.
Per me ha più ragione Matteotti. Garanzie non ce ne sono, ma una speranza c’è e va nel superamento dei cosiddetti stati nazionali. Il bersaglio di Somma è, per me, sbagliato. Mi basta la prefazione. Non acquisterò quest’opera, come non acquisterei un suo… “Pro Mein kampf. Misconosciuta difesa del nazionalismo sovrano”.
Cover: Isola di Santo Stefano (Ventotene) – Wikimedia Commons
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Daniele Lugli
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