È davvero un incubo senza fine.
Uno non fa in tempo ad abituarsi a una puzza che ecco qua le prime zaffate della puzza prossima ventura.
Niente di nuovo ma: questa riverniciatura – con glitter – di Minniti, in corso ormai da tempo, è veramente l’ennesima riconferma di quell’antico adagio là, quello del cattivo gusto che è eterno.
Non ho molto altro da dire.
Tutti quanti ci possiamo sbattere a capire chi sia questo Minniti ma poi non ce n’è bisogno, è ovunque.
Prendi un caffè al bar, apri il giornale è c’è Minniti.
Mangi la pasta a casa col telegiornale acceso e vedi Minniti.
Leggi le notizie su internet e c’è Minniti.
Vai a farti vaccinare contro l’influenza e becchi uno che ti parla di Burioni e poco dopo di: Minniti.
Ti invitano a mangiare patate e fagioli a cena, ti dicono porta del vino, tu cerchi il vino, ti sbatti come un pazzo perché di solito bevi birra quindi guardi l’etichetta e: contiene Minniti.
Insomma, niente.
Uno ormai ha paura a sedersi sulla tazza la mattina con la paglia che pam! Si sente la presenza di Minniti che incombe.
Tiri l’acqua e corri fuori dal bagno e sorpresa: Minniti è ancora lì, in foto sul tuo pacchetto di tabacco a ricordarti che puoi fumare quanto vuoi ma ci sarà sempre attorno a te questo leggero odor di Minniti.
Via col pezzo della settimana che ovviamente contiene Minniti, persino nel titolo.
Slow Death (The Flamin’ Groovies, 1972)
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