Ieri sera ho voluto vedere un mediocrissimo telefilm , “Sotto il cielo di Roma”, che a suo tempo, quando venne realizzato nel 2010, provocò proteste a non finire da parte della comunità ebraica che lo accusò di avere ignorato completamente il ruolo che i fascisti ebbero nell’applicazione delle leggi razziali e molte (il rabbino Di Segni lo definì ‘una patacca’) incongruenze, al limite dell’immaginario, sul ruolo del discusso Papa Pio XII e soprattutto sui suoi silenzi. Non a caso il film fu prodotto da Ettore Bernabei di cui sappiamo i legami con l’altra sponda del Tevere.
L’ultimo papa che ha adoperato i fasti della corte vaticana (e il mio ricordo si spinge fino all’Anno Santo del 1950, quando fui portato a Roma come lupetto dei Boy Scouts e lo vidi sotto le navate di San Pietro sulla sedia gestatoria tra i flabelli) come espressione di un potere politico che verrà sistematicamente ridimensionato e ridiscusso da tutti i suoi successori escluso forse Ratzinger. Perfino la sua morte fu una spettacolarizzazione macabra. Lo ricordo benissimo. Era l’ottobre del 1958. I corsi universitari appena cominciati, mi trovavo a Viareggio dai nonni e, cosa rarissima, ero uscito per andare a mangiare una pizza al Mercato. Così, mentre l’addentavo la televisione, fece vedere il corpo imbalsamato: terribile quasi quanto il più atroce spettacolo della visione del corpo sezionato del Che.
Ora la cronaca si fa Storia e un altro dei personaggi che hanno popolato la nostra (di noi, la generazione giovane dell’ultima parte del secolo breve) utopia di rigenerazione del mondo si aggiunge al mondo dei cadaveri. Ha ben ragione il collega Giovanni Ricci a studiare le funzioni e i simboli del corpo del sovrano, la sua carica minacciosa e nello stesso tempo eternatrice fino a quel luogo spaventoso dove si consumano i corpi dei sovrani che all’Escorial spagnolo ha nome di ‘Putridero’.
Papa Francesco (forse) ha debellato questo ruolo funebre del potere per indirizzare lo sguardo alla vita. A una vita misericordiosa. Ecco allora che la lettera apostolica Misericordia et misera si apre con l’incontro di Gesù con l’adultera e con l’invito a spalancare alla vita i diritti dell’uomo.
A un laico come mi ritengo vien perfino il sospetto che possa esserci un intervento superiore se qualcuno ha permesso alla Curia di eleggere un simile uomo.
Poi leggo le dichiarazioni di quattro cardinali che hanno in qualche modo impugnato e contrastato l’indicazione di Bergoglio e tra questi trovo uno degli arcivescovi ferraresi: Carlo Cafarra. Ma le sorprese non finiscono qui. Da quel che si legge nelle cronache cittadine sembra che perfino l’ultimo vescovo, Luigi Negri, ora che ha rassegnato le dimissioni imposte dai raggiunti limiti d’età si sia espresso sul dopo Tagliani.
Non m’importa granché delle preoccupazioni arcivescovili sul dopo Tagliani né delle sue ipotesi future sul governo della città. Ora m’interessa l’‘hic et nunc’ di una situazione spinosa e grave quale quella che si è determinata con l’ormai deciso trasferimento della Pinacoteca Nazionale dei Diamanti in Castello. Ho su questo giornale ripercorso le tappe del progetto auspicando a più riprese il consiglio delle associazioni culturali, che almeno da tre anni sollecitavano un incontro con le istituzioni. Incontro sempre promesso mai realizzato, se non dopo aver concesso una affrettata riunione in cui si proponeva come possibile quell’ipotesi.
E ora?
Ora il vicesindaco e assessore alla cultura Massimo Maisto, sprizzando legittima soddisfazione per i sette milioni in arrivo e quindi per la decisione ormai codificata dal Ministro Franceschini, conclude affermando che bisogna riunire le associazioni prima di Natale.
Per fare che? C’è già un programma di massima? Si sa come ficcare le grandi tele dentro stanze che non mi sembra abbiano le aperture necessarie? Chi ha redatto il progetto?
Almeno ci si risparmi l’urgenza (ora) di una lunghissima (un tempo) proposta di ascoltare le associazioni. Se tutto questo si avvererà, l’apertura della nuova sistemazione della pinacoteca mi vedrà (finalmente penseranno in molti) tra gli ‘umarell’ che popolano la piazza Trento e Trieste o forse più coerentemente a studiare qualche minimo artista neoclassico.
Quello che ancora mi preme ribadire è che non varrebbe la pena nonostante tutte le debolezze delle associazioni trattarle come se fossero incapaci d’intendere e di volere.
Che resta da dire? Beh! Naturalmente voto sì o voto no. A nessuno ammesso che possa interessare dirò della mia scelta, che molto probabilmente si configurerà come astensione dal voto. Ma neanche quello verrà rivelato.
E questo dovrebbe dirla lunga sull’apertura o meno di credito a chi si propone come futuro Presidente del consiglio o coalizione vincente.
Di che?
