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da: ufficio stampa Coldiretti Ferrara

COP 21, chiude con importanti elementi di novità per contrastare i mutamenti climatici legati alle attività umane e l’impegno dei Paesi che hanno sottoscritto l’accordo. Restano ancora nodi irrisolti che dovranno essere presi in considerazione per la piena operatività del protocollo di Parigi.

Si è conclusa nei giorni scorsi a Parigi la COP 21, la conferenza mondiale sul clima, con un risultato che molto probabilmente è destinato a divenire la nuova pietra miliare della lotta contro gli effettinegativi dei cambiamenti climatici. Si tratta di un accordo storico, come l’ha definito anche il presidente francese Hollande, visto che è la prima volta che sul clima si raggiunge un’intesa così vasta. A Parigi, infatti, ben 187 governi, compresi tutti i grandi emettitori di gas serra, si sono trovati d’accordo sul considerare necessario un maggiore impulso alla riduzione delle emissioni climalteranti e la messa a punto di politiche di adattamento impegnative (anche sul piano finanziario). Lo hanno fatto stipulando un patto che si sostanzia in un processo di verifica periodica e globale degli impegni di riduzione delle emissioni che ogni singola Nazione ha dichiarato di voler perseguire, secondo il principio delle responsabilità comuni ma differenziate.
Gli elementi che hanno caratterizzato la conferenza e il testo dell’accordo che ne è scaturito essenzialmente possono essere così sintetizzati: il primo punto è costituito dalla presa d’atto che l’umanità sul tema climatico ha dato prova di essere capace di marciare compatta, pur tra differenziazioni che non si riferimento tanto alle responsabilità storiche nell’accumulo di gas serra in atmosfera, piuttosto, invece, a differenti velocità di adeguamento, tra Paesi che puntano ad arrivare il prima possibile al traguardo della decarbonizzazione e altri che, invece, si sentono meno sicuri e magari credono di poter conservare ancora dei vantaggi residui nello sfruttamento delle fonti fossili. Il secondo punto riguarda il target fissato dall’accordo, più avanzato del previsto, e cioè quello di stare “ben sotto i due gradi di aumento della temperatura”, facendo anche ogni sforzo possibile per scendere a 1,5 gradi. Questa costituisce una novità veramente forte e precorre importanti sviluppi nelle strategie climatiche in generale.
Un altro punto importante riguarda la finanza che, finalmente, sembra essersi messa in moto, stanziando una base (a partire dal 2020) di ben cento miliardi di dollari annui di aiuti green per i paesi a scarsa industrializzazione, per salire progressivamente gli anni successivi. L’ultimo punto caratterizzante della COP 21 è relativo al meccanismo della revisione degli obiettivi nazionali. Questo, forse, costituisce l’aspetto più debole dell’accordo, anche se è stata prevista la possibilità di un rafforzamento rispetto a quanto attualmente stabilito.
Va detto, inoltre, che, sul piano formale, l’accordo entrerà in vigore, e sarà valido per tutti i Paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro del 1992 (quasi tutti, Stati Uniti e Cina compresi), quando sarà sottoscritto da almeno 55 Paesi (che rappresentino almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas serra). Il documento sarà aperto alla firma presso il quartier generale delle Nazioni Unite dal 22 aprile 2016 al 21 aprile 2017.
L’importanza della COP 21 nell’ambito del negoziato internazionale sul clima, quindi, risiede essenzialmente nel nuovo processo messo in moto, destinato ad avere rilevanti impatti sugli investimenti mondali nelle fonti fossili, per le quali è prevedibile un calo specie per petrolio e carbone, a fronte di un maggiore impulso che dovrebbe vedere protagoniste le fonti rinnovabili, il risparmioenergetico, la mobilità sostenibile e, in generale, un maggiore impegno nell’eco-innovazione.
Tuttavia, a fronte delleimportanti enunciazioni condivise sugli obiettivi, resta da sciogliere il nodo degli strumenti, considerando, tra l’altro, che gli attuali impegni nazionali dichiarati dai 187 Paesi per il 2025 e il 2030, pur costituendo un grande passo in avanti rispetto a Kyoto, non sarebbero sufficienti per stabilizzare l’aumento delle temperatura sotto i 2°C.
Come si diceva anche prima della Conferenza, dunque, l’accordo raggiunto a Parigi è solo l’inizio di un percorso, perché ora dovrebbe iniziare il lavoro vero e proprio per non perdere la spinta positiva verso una low carbon economy, impegnandosi da subito permigliorare (decisamente al rialzo) gli impegni nazionali di riduzione e perattivare politiche e misure più efficaci, sia da parte dei Governi, che delle amministrazioni regionali, locali e delle imprese. Purtroppo le prime verifiche della “tenuta” dell’accordo e della reale volontà delle diverse Nazioni che lo firmeranno è prevista per il 2018, per poi arrivare alla COP di revisione vera e propria nel 2023. Questo significa, essenzialmente, che, lanciata la palla, ora il gioco è in mano ai singoli governi, che dovranno fare ciascuno la propria parte per evitare che, quando magari sarà troppo tardi, si possa scoprire di non aver raggiunto l’obiettivo del contenimento dell’aumento della temperatura media entro 1,5°C .
Anche l’Europa, rivedendo i target al 2030, e l’Italia, migliorando la strumentazione e le politiche dimitigazione climatica, quindi, saranno chiamate a migliorare ulteriormente i rispettivi impegni per il nuovo target, attraverso un potenziamento delle politiche di adattamento e di mitigazione che, tra l’altro, dovranno prevedere un maggiore coinvolgimento del settore agroforestale, dato il suo grande potenziale, ancora non pienamente conosciuto e riconosciuto, legato all’aumento degli assorbimenti della CO2 ad opera di suolo e piante (carbon sink) e alla diffusione di nuove forme di produzione e consumo dei prodotti agroalimentari, basate sulla riduzione degli sprechi e delle emissioni da trasporto delle materie prime.

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