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da: Ufficio Stampa Confagricoltura Ferrara

“Si sta ripetendo ciò che è accaduto qualche mese fa con le carni rosse; è, insomma, un film già visto”. Sulla vicenda glifosate, l’erbicida più utilizzato al mondo che lo Iarc (l’Agenzia Internazionale per la ricerca contro il cancro) ha classificato probabile cancerogeno per l’uomo, inserendolo nella categoria 2A insieme alle carni rosse, al mate (bevanda tradizionale latinoamericana), ai fumi dell’olio della frittura, alle patatine fritte (sulle quali è presente in grandi quantità l’acrilammide, che si forma alle alte temperature della frittura), scende in campo Confagricoltura Ferrara, la quale esorta a “non lanciare proclami senza un’appropriata valutazione degli effettivi rischi, proprio come già accaduto con le carni”. Sulla questione si sono tra l’altro recentemente espresse sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che la FAO, che hanno dichiarato che dagli studi scientifici ad oggi disponibili, è improbabile che l’assunzione di glifosate attraverso gli alimenti sia genotossico, confermando quanto già dichiarato dall’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ha sede a Parma) e smentendo quindi la IARC. “E’ importante contestualizzare le informazioni – affermano da Confagricoltura Ferrara – nel gruppo 2A (in cui è stato inserito il glifosate e gli alimenti su elencati), rientrano quegli agenti per i quali l’evidenza della cancerogenicità è sufficiente negli animali ma limitata nell’uomo; ciò significa che non sussiste una conseguenza certa, perché come sempre è la dose che determina l’effetto”. Secondo l’Organizzazione degli Imprenditori Agricoli ferraresi, l’eliminazione del glifosate non supportata da fondate motivazioni, ridurrebbe ulteriormente la competitività dell’agricoltura italiana. Vediamo perché. “Il Glifosate può essere considerato il principale alleato dell’agricoltura conservativa (detta anche agricoltura blu), che ha tra i propri dogmi quello della minima lavorazione del terreno e della semina su sodo, che consentono di alterare il minimo possibile la struttura del suolo, preservando la sostanza organica, la struttura, fertilità e biodiversità del terreno. Ebbene senza questo importante erbicida queste pratiche non potranno più essere effettuate, perdendo i conseguenti vantaggi agronomici ed ambientali. Questo perché al glifosate, unico diserbante sistemico autorizzato in pre-semina, non c’è alternativa: ogni altra soluzione (diserbo meccanico, pirodiserbo, diserbo a vapore, acido pelargonico; quest’ultimo indicato da alcuni quale vera alternativa al glifosate, abbisogna di dosaggi molto elevati e per essere efficace deve essere distribuito quando le infestanti non sono particolare sviluppate) è meno efficace, perché ha costi troppo elevati per la competitività del nostro sistema produttivo, o perché si tratta di palliativi la cui efficacia è tutta da verificare. A meno che non si vogliano utilizzare principi attivi ben più invasivi per l’ambiente. Ma non è solo un problema di agricoltura blu; quando le semine primaverili succedono a mesi piuttosto piovosi, per esempio, le erbe infestanti sono particolarmente sviluppate e l’aratura non è sufficiente per debellarle. Non potendo utilizzare il glifosate, occorrerebbe riparare su prodotti chimici alternativi che presupporrebbero diversi passaggi sul campo e determinerebbero gravi problemi di residualità”. Confagricoltura Ferrara conclude auspicando che “ la commissione europea decida sul rinnovo della licenza per l’uso del glifosate, anche solo per usi professionali (quindi per l’agricoltura) e per un periodo di tempo limitato a sette anni (rispetto ai 15 previsti) come da proposta del Parlamento europeo, anche evitandone in via ulteriormente precauzionale l’utilizzo in pre-raccolta, in attesa anche dello studio in corso da parte dell’Agenzia Europea per i Prodotti Chimici, procedendo al ritiro immediato qualora si dovesse sancire la sua effettiva pericolosità, che al momento è circoscritta all’inserimento nella categoria 2A della Iarc”.

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