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Da: Gruppo Partito Democratico

In merito agli articoli comparsi recentemente sulla stampa relativi ai criteri di assegnazione degli alloggi popolari, mi permetto qualche riflessione.
Come coloro che si occupano tutti i giorni di sociale sanno, il welfare state è nato per mantenere la pace sociale attraverso la garanzia di diritti e di uno stato dignitoso tra le persone. I servizi di welfare erano stati pensati come quella mano avvolgente che doveva sostenere e proteggere il cittadino nei momenti di difficoltà. Il cittadino si riconosceva tale in quanto beneficiario di una protezione che lo difendeva dai momenti di incertezza della vita. Sono passati molti anni, sono cambiati i bisogni, ma non diminuiti, ed è cambiato il contesto. Oggi esiste una contraddizione più o meno evidente insita nel welfare stesso: il mondo del sociale si trova, obbligatoriamente, a dover rifiutare molti aiuti a chi ne ha più bisogno, perché non ha lo status (di cittadino) per averne diritto. Ricordo, ad esempio, che molti clochard sono senza titolo di soggiorno e non possono ricevere aiuti (se non quelli sanitari di emergenza). Tuttavia queste persone sono nella città insieme a noi, sono parte della città come lo siamo noi, hanno bisogni come i nostri, e, mi permetto, vengono classificati all’interno dell’odiosa definizione di “degrado urbano”, che tanto piace ad alcuni. Talune contraddizioni fan parte del sistema stesso, altre vengono create nel momento in cui si perde di vista il problema e si annaspa nella vaghezza della ricerca del consenso.
Rimanendo all’interno del tema delle case popolari, non abbiamo nemmeno bisogno di scomodare grandi discorsi di etica professionale, basta il comune buon senso. Il servizio viene dato a chi ne ha bisogno e ne ha diritto, fino all’esaurirsi delle risorse. I criteri considerati dal nostro regolamento rispettano quanto richiesto dalla Regione e inseriscono la storicità della residenza in relazione al perdurare della richiesta di casa popolare nel tempo. Questo misura il bisogno. Poi chiaramente capisco che sia possibile ipotizzare altri criteri escludenti ma non sono collegati ad un bisogno, obbiettivo principale dello strumento sociale.
Altro dato che invito a verificare è quello delle domande effettuate, quanti Italiani chiedono la casa popolare? Quanti stranieri? La “richiesta” è un validissimo indicatore del bisogno perché mette nero su bianco non la composizione della popolazione, ma la composizione di chi ha necessità di quel specifico aiuto.
La vera questione da sottoporre al dibattito elettorale è legata alla sufficienza del patrimonio edilizio popolare a fronte delle tante famiglie che ogni anno rimangono escluse dall’assegnazione. Gli strumenti di sostegno all’abitare sono sufficienti (sia in termini di quantità che di efficacia) per risollevare la popolazione bisognosa della nostra città? E’ soddisfacente un tetto per togliere dall’indigenza una famiglia o ci possiamo dare mandato di lavorare ulteriormente su misure di cura dell’abitare (contributi per il mantenimento dignitoso della casa, interventi di quartiere, collaborazioni di vicinato?). Personalmente credo che per una campagna elettorale di temi ce ne siano già a sufficienza interrogandosi su come dare di più e meglio a tutti senza dover arrivare a decidere chi avrà meno strumenti per lamentarsi se lasciato fuori dalla porta.

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