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di Donato La Muscatella

Il rapporto presentato da UnionCamere Emilia-Romagna, che ha collocato la nostra città ai vertici di alcune classifiche sulla permeabilità ai fenomeni criminali, ha generato indiscutibilmente un certo scalpore.
Bisogna, tuttavia, distinguere l’allarmismo, stretto compagno dell’agire in emergenza, dalla consapevolezza, condizione irrinunciabile se si vuole che il cambiamento culturale, presupposto di qualunque forma seria di contrasto alle organizzazioni criminali, contagi tutti anche qui.
Al di là del (desueto) luogo comune, infatti, che vede le mafie non “abitare” i territori del Settentrione – definitivamente sfatato, anche nella nostra Regione, dalle recenti inchieste promosse dalla Procura della Repubblica di Bologna – la ricerca sembrava smentire il sillogismo per cui “le mafie vanno dove ci sono i soldi”, “A Ferrara non ci sono soldi”, “Le mafie non arrivano a Ferrara”.
Anche per questo la tavola rotonda – “Mafia a Ferrara. Allarmismo o rischio reale” organizzata da FerraraItalia alla biblioteca Ariostea – ha costituito un’ottima occasione per ragionare di due questioni che riguardano da tanto il dibattitto in tema di mafie ed antimafia.
La prima è quella definitoria. Uno dei problemi emersi dalla discussione ha riguardato l’equivoco – non così infrequente – circa i “confini” del fenomeno mafioso. Tra le pecche della ricerca, Federico Varese ha sottolineato l’impropria commistione tra fenomeni criminali differenti, in rapporto più o meno diretto con l’associazione a delinquere di stampo mafioso ed i reati alla cui commissione essa è preordinata. Si tratta di un errore ricorrente quando si parla delle mafie. Troppo spesso infatti, per ottenere risonanza, si tende a sovrapporre piani diversi, includendo nell’ambito della lotta alle mafie, qualunque tema vagamente connesso a criminalità e territorio. Bene inteso, talvolta questo rapporto esiste, ma più spesso lo si vuole affermare per sfruttare l’effetto che tale correlazione genera sull’opinione pubblica. Entra così nell’arena un chiavistello in grado di scardinare qualunque argomentazione, attraendo, al contempo, molta attenzione.
La mafia è un fenomeno complesso, con un perimetro cambiato nel tempo e tutt’ora mutevole, ma, soprattutto, è genere che comprende, al suo interno, una serie di specie eterogenee.
Per fare solo un esempio, salvi alcuni tratti comuni – legati essenzialmente a violenza, danaro e potere – infatti, la ‘ndrangheta opera diversamente dalla camorra e, in ogni caso, non allo stesso modo su tutti i territori.
La seconda è l’allarmismo, l’emergenza, il clamore. La fretta, tuttavia, è sempre “cattiva consigliera”, mentre un’azione di contrasto efficace si basa, a mio modesto giudizio, sull’analisi dei dati, il sostegno alla ricerca rigorosa, la costruzione di reti efficaci e solidali tra chi opera sul territorio, il sostegno silenzioso ma costante a chi, senza clamore o strepitio, si occupa quotidianamente del contrasto alle organizzazioni criminali.
Non solo. Meriterebbero maggior eco, migliore valorizzazione, le centinaia di iniziative che, tutti i giorni in tante città, sviluppano una nuova forma di consapevolezza culturale, stimolano il cambiamento, prevengono l’infiltrazione ed il radicamento.
Perché non tutto è mafia, ma le mafie prosperano sulla base di un modello culturale.
Un albero che cade fa più notizia di cento che crescono: è vero. Ma la foresta resterà verde solo se tanti alberi continueranno a popolarla.
Dal mio punto di vista, però, l’Emilia-Romagna è terra viva, che si è alzata in piedi per ricominciare un percorso.
Il sostegno ai familiari delle vittime innocenti di tutte le mafie, l’accoglienza ricevuta dalle 200.000 persone che hanno pacificamente invaso Bologna il 21 marzo, in rappresentanza delle migliaia di associazioni parti di Libera, dei cittadini che singolarmente la sostengono e delle Amministrazioni impegnate attivamente in progetti di responsabilità condivisa, sono certamente un buon segno. Le svariate iniziative che sono state organizzate a Bologna, a Ferrara ed in tutta Italia avvicinandosi alla data, una testimonianza di impegno concreto.
Ed allora è questa la soluzione possibile, ricordata in piazza VIII Agosto da don Luigi Ciotti: impegnarsi tutti di più quotidianamente, senza aspettare che sia l’emergenza a richiamare ciascuno alle proprie responsabilità. Rifiutare le regole a geometria variabile, il “puzzo del compromesso morale” di cui parlava Paolo Borsellino, le strade facili.
Solo così non s’arriverà mai all’allarme. Solo così si potrà impedire al germe di attecchire in una terra che vuole tornare ad essere realmente felix.

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Redazione di Periscopio



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