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Lo dice il loro stesso nome: CollettivO CineticO. Una tribù costantemente mobile, che si ridiscute continuamente, un’esplosione orizzontale di possibilità.
Ecco allora una nuova sfida per il gruppo guidato da Francesca Pennini, Angelo Pedroni e Carmine Parise: lasciarsi contaminare, infettarsi con i linguaggi e le poetiche di altri artisti. Tre dialoghi, uno all’anno a partire da questo 2018, per una fertilizzazione incrociata che non rinneghi le identità di origine, ma ampli le capacità e le possibilità creative ed estetiche. Il primo a essere scelto e ad aver accettato di mettersi alla prova con i corpi allo stesso tempo rigorosi e insubordinati, precisi e imprevedibili, eccentrici e spregiudicati del Collettivo è l’israeliano Sharon Fridman: “Quella di Sharon è stata una scelta mia – racconta Francesca Pennini – Prima di tutto volevo che fosse un autore diverso da noi, con un segno e una poetica diversi e che tecnicamente ci chiedesse di imparare cose nuove, che ci desse stimoli nuovi. Sharon ha parametri tecnici molto chiari e rigorosi: mentre Collettivo Cinetico prende dalla realtà e rielabora, Sharon insegna a chi ha davanti il suo codice e come affronta il movimento. Oppure ancora lui lavora moltissimo su una condizione di grande fragilità del corpo in scena, molto diversa rispetto al nostro lavoro, che ha sempre una dimensione quasi sportiva per trovare una fragilità diversa. Potremmo dire che è il modo opposto di guardare alla stessa cosa”. “L’ho conosciuto nel 2009, abbiamo fatto progetti internazionali insieme, e so che lavora con corpi anche non della sua compagnia – continua Pennini – Mi è sembrata la personalità adatta per iniziare questo percorso con il quale vogliamo diversificare molto: non è nemmeno detto che i prossimi due artisti siano ancora coreografi, anzi vorremmo trovare nomi legati ad arti limitrofe, come la prosa o le arti visive, sempre invitandoli a fare un lavoro sul corpo”. Anche Francesca è fra gli interpreti di questa nuova creazione: “È stato bellissimo ‘cedere lo scettro’, era da quando lavoravo con Sasha Waltz che non mi trovavo in questa condizione ed essere dall’altra parte è stato piacevolmente liberatorio e nutriente. Mi piace potermi mettere nel ruolo solo di interprete. E questa mobilità, secondo me, aiuta le dinamiche interne della compagnia”.

Dialogo Primo: Impatiens Noli Tangere
Dialogo Primo: Impatiens Noli Tangere
Dialogo Primo: Impatiens Noli Tangere
Dialogo Primo: Impatiens Noli Tangere
Dialogo Primo: Impatiens Noli Tangere

Foto di Marco Caselli Nirmal. Clicca sulle immagini per ingrandirle

Il risultato di questa prima contaminazione è ‘Dialogo primo: Impatiens noli tangere’, che ha debuttato a metà ottobre al Teatro la Cavallerizza di Reggio Emilia e del quale alcuni estratti sono stati portati in anteprima al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, mentre sabato 3 novembre sarà in scena qui a Ferrara, nel Teatro Comunale Claudio Abbado che è ormai dal 2007 la casa di questo gruppo di performers.
“Ho proposto io questo titolo a Sharon – spiega Francesca – Lui fa un lavoro principalmente basato sul contatto fisico e la corporeità, ma allo stesso tempo molto spirituale, in senso lato non strettamente religioso, e così mi è venuto in mente il titolo di un libro che avevo letto di Jean Luc Nancy ‘Noli me tangere’. Inoltre, il nome di una pianta che perde tutti i semi quando viene toccata: si chiama Impatiens noli tangere, fa parte di quella famiglia che in italiano è nota anche come ‘begliuomini selvatici’. Mi è sembrata perfetta per descrivere i corpi un po’ selvaggi di Collettivo Cinetico e un rapporto con il contatto preso da un punto di vista anomalo”.
Fridman è conosciuto per i suoi ‘paesaggi umani’ e la potenza espressiva della sua danza e ha trovato nell’esuberanza fisica e intellettuale dei danzatori del CollettivO un terreno fertile: duttile, ma nello stesso tempo capace di contaminarne la tecnica, suggerendo prospettive sempre nuove. In ‘Dialogo primo: Impatiens noli me tangere’ Fridman offre forme coreografiche che sono espressione di paesaggi emotivi e stati di coscienza con cui ogni individuo è chiamato a confrontarsi. Una traiettoria ciclica e un moto perpetuo, fra cadute e riprese; corpi alla costante ricerca di un equilibrio, per quanto precario, in un continuo fluire. A questo proposito Francesca ammette: “Dovremmo chiedere a Sharon. C’è sicuramente una volontà di ciclicità legata al ciclo vitale come paradigma di lettura dell’universo e quindi di perdita, recupero, abbandono. Qualcosa che è legato a una distruzione e ricostruzione costante: fa parte della sua visione poetica”.
Nella stessa serata le tavole del palcoscenico del Teatro Comunale diventeranno anche il ring di ‘How to destroy your dance’ di Francesca Pennini in e Angelo Pedroni: una sfida contro il tempo, un manuale per il boicottaggio di ogni decoro coreografico, un gioco al massacro dove i danzatori diventano wrestlers della relatività e la scena è messa a nudo nella distruzione di ogni artificio formale. Si ritrova quell’intreccio fra toni pulp e gusto ludico che è un po’ la cifra distintiva del Collettivo, che anche in questa piéce struttura un gioco a essere e a mettere alla prova le proprie capacità e resistenza.
Una volontà ironicamente dissacrante di portare alla luce e mettere a nudo i meccanismi di costruzione di uno spettacolo, come bambini che smontano un giocattolo, che permetterà anche agli spettatori, a partire dalle 19.30, di entrare nella sala teatrale assistendo a tutte le fasi di training e riscaldamento e preparazione dei danzatori.

How to destroy your dance ©Benedetta Stefani
How to destroy your dance ©Giulia Di Vitantonio
How to destroy your dance ©Giulia Di Vitantonio

Everything that will be is already there’ di Fridman al Meis e, ancora prima in giugno, ‘How to be exactly on time’ sul Listone sono solo gli ultimi due esempi. Alla tribù dei Cinetici piace portare il teatro – inteso come performance e come momento e spazio condiviso con il pubblico – fuori dal teatro: “Lo trovo molto stimolante dal punto vista creativo – afferma Francesca – per il pensiero che uno spazio richiede per ospitare un lavoro, per rivederlo e ripensarlo, se esiste già in un’altra forma. Anzi quel lavoro può dare nuove risposte perché lo si mette in una nuova condizione e se ne scoprono aspetti che non ci si aspettava. Se poi la performance viene creata ad hoc per uno spazio che non è quello del teatro, a maggior ragione richiede una complessità di ragionamento perché non si è di fronte alla neutralità di un palcoscenico dove si possono compiere molte scelte: questa interazione con la realtà di un luogo che è fatto anche di sue proprie regole e di suoi modi di essere vissuto e abitato, di elementi e simboli, è da una parte uno stimolo e una ricchezza, dall’altra un enigma da risolvere”. “Poi – continua Pennini – c’è un arricchimento anche dal lato performativo: è un’esperienza forte e diversa perché spesso gli spettatori sono più vicini, spesso non sai aspettarti come reagiranno, non sai se succederà quello che hai immaginato, proprio perché ci sono regole, o meglio perché non ce ne sono più, dato che vengono infrante. Quindi ci si trova a interagire con lo spettatore in un modo insolito”. Dal punto di vista dello spettatore, invece, “si aprono nuove dimensioni dello sguardo e del vissuto riguardo i luoghi che le persone sono abituate ad abitare e vivere in un certo modo e che, vivendoli con la performance, rimangono segnati dall’esperienza di ciò che visto e fatto. Uscire dal teatro è quindi lasciare anche segni di esperienze”.

©Camilla Caselli

Come compagnia in residenza stabile al teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara, CollettivO CineticO porta avanti sul territorio un lavoro di formazione alla visione e di relazione con il pubblico, basti pensare alle esperienze del progetto ‘Age’ nel 2012 e 2014, fino al prossimo workshop di Francesca del 16 novembre: ‘The day before the day after tomorrow’, un training fisico e in pratiche teatrali e performative per stimolare la consapevolizzazione corporea e la percezione delle dinamiche di visione e azione in uno spazio scenico. La proposta della programmazione coreutica del teatro di tradizione estense è, è il caso di sottolinearlo, qualitativamente molto alta, da diversi anni e specie in questa stagione: Aterballetto è una presenza praticamente fissa in cartellone, come il Junior Balletto di Toscana di Cristina Bozzolini, per non parlare di Dada Masilo, Wayne McGregor, Amedeo Amodio, Angelin Preljocaj, Leonardo Cuello e i suoi tangueros, dei Trocadero, solo per citare alcuni nomi nazionali e internazionali dell’arte coreutica che hanno portato le loro creazioni al Teatro Claudio Abbado, spesso in date uniche in Italia. Quest’anno la stagione è iniziata con Saburo Teshigawara e la MM Contemporary Dance Company, e nel prosieguo arriveranno la Batsheva Dance Company, Mario Martone e la statunitense Parsons Dance Company. Ma allora perché si ha l’impressione che gli spettatori non rispondano a queste proposte? Davvero il pubblico pensa che la danza sia ancora solo una questione di cigni sulle punte o di candide ed eteree silfidi?
Francesca ammette subito che è “un argomento veramente complesso e con tanti versanti diversi. Penso comunque che ci siano responsabilità da condividere tra le istituzioni in generale, le organizzazioni dei teatri e gli artisti. Parto da me stessa, da chi sta sul palco: per un po’ di anni si è completamente ignorato il problema, se non addirittura creato danni, del tipo di rapporto con lo spettatore, che era diventato qualcosa di assolutamente non importante. Questo ha allontanato dalla danza e dal teatro contemporaneo di ricerca che non hanno una lettura così immediata”. “Dall’altro lato sicuramente il tipo di investimento che viene fatto per renderli accessibili e per supportarne l’attività, in altre parole il tipo di valore che viene dato loro, è molto basso. Ecco perché diventano elitari dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista della capacità di fruizione da parte del pubblico. Per quanto riguarda i finanziamenti, la situazione è veramente annichilita, perciò ci si confronta costantemente con compromessi e l’investimento sulla creazione di nuovo pubblico, quando già riuscire a fare il minimo per la programmazione è un’impresa, passa in fondo alla classifica delle priorità, perché è un lavoro a lungo termine che non dà subito i suoi frutti. Si crea così una sorta di circolo vizioso poco lungimirante perché supplire alle necessità di sopravvivenza del momento significa non investire sull’autonomia nel futuro. Purtroppo la differenza con paesi esteri, come il Nord Europa, è devastante – continua Francesca – conseguentemente, anche il tipo di risposta di presenze del pubblico: dipende dagli stimoli culturali trasversali più ampi che vengono dati. Non dovrebbero essere solo gli attori, gli appassionati e gli operatori del settore ad andare a teatro, dovrebbe essere un pubblico principalmente di spettatori reali. Io comunque non sono dell’opinione che Ferrara risponde male perché è Ferrara, mi sembra molto facile come affermazione e ciascuno critica la propria città: penso che a Ferrara ci siano tantissime risorse culturali, purtroppo non fruite come meriterebbero”.

E per mantenere fede al suo nome, il CollettivO CineticO ha già in cantiere (almeno) due nuove creazioni: ‘U’ di Margherita Elliot, che è parte della compagnia, creazione per numero limitato di spettatori in programma dal 16 al 18 novembre in un luogo ancora misterioso e poi “stiamo ragionando sul formato dell’opera lirica ma nello stile di CollettivO CineticO”. “Sta collaborando di nuovo con noi Francesco Antonioni, che ha già creato le musiche di Silphydarium; siamo ancora agli inizi e avrà una gestazione lunga, credo sarà pronta fra fine 2019 e 2020. Dovrebbe chiamarsi ‘Gli uomini chiari’”.

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Federica Pezzoli



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