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Luca Mercalli, noto climatologo, una istituzione nella sostenibilità ambientale. Tramite i suoi libri, la televisione e le conferenze porta le sue importanti convinzioni. Venerdì scorso, alla Facoltà di Economia, un pubblico attento (ma sono sempre quelli che già sono convinti) ascolta la sua conferenza, organizzata nell’ambito della manifestazione Internazionale a Ferrara. ‘Il tempo che ci resta’ è il titolo della sua conferenza e lascia poco spazio all’ottimismo. Forse troppo poco.

Da persona precisa è presente in anticipo in un’aula strapiena (riempite anche altre sale, meno male). Una drammatica slide dinamica ci mostra i cambiamenti climatici nel tempo e ci avvisa di cosa parleremo. Fuori e’ per fortuna una bella giornata, ma il richiamo all’aumento della temperatura globale fa riflettere. La climatologia e’ una scienza complessa, ma spesso si fa di tutto per sottovalutarla. Serve uno scienziato che sia anche comunicatore come Mercalli e soprattutto si apprezza la sua coerenza. Inizia dicendo che il tempo (meteorologico) che ci resta è brutto e poco. Entrata subito a gamba tesa. Ferrara e’ a rischio nei prossimi cento anni prima con il cuneo salino poi con il mare che inonda. Stiamo fabbricando un pianeta nuovo per il nostro sistema sociale resiliente, ma debole. Possiamo solo cercare di difenderci; possiamo adattarci, ma non possiamo più tornare indietro. Visione pessimista e disfattista? Ognuno farà le sue valutazioni, si spera informandosi.
Il congresso mondiale dei geologi a Città del Capo ha detto che siamo entrati in antropocene. Serve una svolta energetica verso il rinnovabile. Serve una forte etica ambientale (leggi enciclica). Abbiamo bisogni di cambiamenti politici e accordi veri che poi si attuano. La conferenza e l’accordo di Parigi lo ha detto, ora però lo devono firmare tutti i Paesi. Ratificato l’accordo però non sarà ancora capitato nulla. Si deve applicare e questo è più grave. Le soluzioni necessarie sono assolutamente impopolari e costose, dunque improbabili da attuare. Eppure Papa Francesco ha avuto un ruolo catastrofista, cosa ci guadagna? Da qui si capisce il suo valore.

La meteorologia è un buon modo per capire gli effetti negativi dell’inquinamento. Non possiamo certo nasconderci di fronte all’evidenza dei disastri climatici in corso. Lui ci prova con professionalità e cultura: il suo libro ‘Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e forse più felicità’ prova a dare uno spiraglio. Condivido molto la sua massima: “Proviamoci, almeno non saremo complici”. È infatti richiesta una crescente attenzione ai temi dell’organizzazione dell’informazione e del sistema di comunicazione. Bisogna insistere nell’attivare una partecipazione reale ai principi di sostenibilità ambientale. Troppo spesso si comunicano i disastri e situazioni ingestibili in cui ci sentiamo impotenti; comunichiamo paure, non partecipazione e coinvolgimento. Per questo servono persone preparate ad abituare i cittadini ad interloquire con la politica, con le amministrazioni e con le strutture che erogano servizi. I migliori scienziati del mondo ci dicono che le nostre attività stanno cambiando il clima e che se non agiamo con forza continueremo a vedere l’innalzamento degli oceani, ondate di calore più intense e più lunghe, siccità e inondazioni pericolose che possono scatenare maggiori migrazioni, conflitti e fame nel mondo.

Il mondo sta cambiando. Lo percepiamo, ma lo stiamo anche capendo? Ne siamo consapevoli? O giochiamo solo al ruolo delle vittime? Crescono attorno a noi problemi ambientali e sociali ma non sempre percepiamo che sono la nostra sostenibilità. Cosa possiamo fare? Come possiamo influenzare questa tendenza negativa? E soprattutto: a chi tocca? alle istituzioni o anche a noi? Cresciamo, anzi ci moltiplichiamo. Invecchiamo. Nel contempo consumiamo risorse naturali che ci hanno detto essere limitate. Ma temo che non ce ne stiamo preoccupando troppo. Siamo attenti a rischi e rendimenti finanziari, ma non a quelli naturali, compresa la energia. C’è fortunatamente chi pensa (io tra questi) che il potere buono possa difendere la sostenibilità o addirittura rafforzarla. Una visione più proattiva e meno pessimista ci aiuterebbe a capire che possiamo ancora fare qualcosa.
Il principio teorizzato da tutti, da sempre, è: “Non dobbiamo lasciare in eredità ai nostri figli le nostre colpe ambientali”. Salvo poi smentire. A tutti capita di pensare al futuro e quasi sempre lo viviamo con l’ansia dell’incognito. La globalizzazione ha creato una società civile globale, ha migliorato le condizioni di salute e il tenore di vita, ha cambiato il modo di pensare della gente, ha servito gli interessi dei paesi industrializzati, però non ha funzionato per molti poveri del mondo e soprattutto ha posto problemi per gran parte dell’ambiente, ripercuotendo l’instabilità a livello globale (ci ricorda Stiglitz). L’obiettivo di fondo dunque è la difesa dell’ambiente e la trasformazione dei bisogni dei cittadini in diritti. Riprendiamoci il principio di chi inquina paga. Una società civilizzata si misura dal senso di responsabilità che ha nei confronti delle generazioni future.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).


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