Claudio Fava al liceo Ariosto parla di mafia e dittatura. E dell’antidoto del coraggio
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La forza di lottare contro ogni forma di oppressione per una vita libera e dignitosa. Davanti a un pubblico di ragazzi attenti e curiosi, Claudio Fava è intervenuto questa mattina al liceo Ariosto di Ferrara per parlare del suo ultimo libro (“Mar del Plata”) che racconta in forma romanzata una vicenda vera ispirata alle gesta di una squadra di rugby negli anni della dittatura argentina. Il colloquio con gli studenti si è poi ampliato a riflessioni sulla mafia e la legalità.
Giornalista, scrittore, sceneggiatore del film “I cento passi”, deputato di Sinistra Ecologia e Libertà, vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Claudio Fava è figlio di Giuseppe Fava, fondatore de “I Siciliani”, giornalista, scrittore, drammaturgo assassinato dalla mafia a Catania nel 1984.
In apertura, Fava ha raccontato il libro “galeotto” che gli ha fatto desiderare di diventare scrittore, “Uomini e topi” di Steinbeck e ha poi risposto alle domande degli studenti suo romanzo “Mar del Plata” (Add edizioni, 2013).
L’incontro è stato organizzato dalla scuola avvalendosi dell’apporto dei docenti referenti del progetto “Galeotto fu il libro”, in collaborazione con l’associazione Libera.
[Audio 1] I cento passi, il rifiuto di piegarsi, la forza di resistere (23 minuti)
[Audio 2] Borsellino, Rostagno e i rischi dell’indifferenza (20 minuti)
Questa la sinossi del libro che merita certamente la lettura.
Immaginate un giocatore di rugby.
Teso, attento, pronto allo scatto e a resistere alle cariche, ai placcaggi, a tutto. Solo che quest’uomo non è un giocatore di rugby come gli altri: lo si capisce quando comincia a raccontare quella partita, e le altre cento che l’hanno preceduta.
Si chiama Raul, è argentino e la squadra per cui sta giocando non esiste più. Morti, tutti, durante gli anni della dittatura. Lui è l’unico sopravvissuto. Una squadra di fantasmi. Che un tempo era la squadra più forte d’Argentina.
Un tempo funesto, il 1978. Qualcuno si illude che lo sport sia un terreno neutrale e che altrove, lontani dal campo di rugby, stiano anche i generali e la repressione di un regime che in pochi anni farà ventimila morti.
Che c’entriamo noi con la dittatura? Noi che diamo l’anima sul campo?
Poi uno di quei ragazzi, uno che di mestiere fa l’operaio e in fabbrica parla e pensa ad alta voce, scompare. La domenica successiva i suoi compagni chiedono un minuto di silenzio prima della partita.
Invece di minuti ne passano dieci. Dal giorno dopo cambia tutto. Mentre l’Argentina si prepara a trasformare i campionati del mondo di calcio del 1978 nella vetrina del regime, tra la giunta militare e quei ragazzi si accende una sfida che non prevede armistizi. Uno dopo l’altro i giocatori spariscono: ma per ogni giocatore ucciso, un ragazzino del vivaio viene promosso titolare. E così, mentre il mondo celebra l’Argentina campione del mondo di calcio fingendo di non sapere cosa stia accadendo, i ragazzi del Rugby La Plata continuano a giocare, a vincere, a parlare ad alta voce. E a morire. Dei titolari ne resta in vita solo uno: Raul. L’ultima di campionato si porta in campo una squadra di ragazzi. Giocano, e vincono. Per la giunta militare, che assiste con le divise tirate a lucido dal palco d’onore, sarà l’inizio della fine. Una storia vera, raccontata con la passione, l’amore e il rispetto che meritano i grandi eventi della Storia.
Alla fine di “Mar Del Plata”, Claudio Fava, avanza una tesi interessante: le dinamiche applicate dalla dittatura argentina sono le stesse messe in atto dalla mafia siciliana.
(Ha collaborato Mauro Presini)
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Redazione di Periscopio
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