Siamo onesti perché la società in cui siamo nati e cresciuti è onesta? Oppure la società diventa onesta perché i cittadini che la compongono sono onesti? Potrebbe sembrare una di quelle domande del tipo: è nato prima l’uovo o la gallina? E invece non è così.
È da poco uscito uno studio condotto da Simon Gächter e Jonathan Schulz, all’università di Nottingham nel Regno Unito, e appena pubblicato sulla rivista scientifica “Nature”, che dà una risposta certa alla domanda: che collegamento c’è tra la moralità dei singoli e il livello medio di rispetto delle regole della società in cui si vive?
La questione è complessa, dibattuta e studiata da decenni da sociologi, psicologi e persino da economisti. È già stato dimostrato, per esempio, il nesso causale per cui, in un ambiente in cui le regole vengono facilmente violate senza rischiare sanzioni, gli individui sono più portati a comportarsi in modo disonesto, senza sentire minacciata l’immagine di se stessi come persone oneste. Per esempio: una persona non abbandonerebbe mai la spazzatura in una zona pulita della città, ma è più portata a farlo se si trova in un’area già degradata.
Assodato quindi il comportamento conformistico della maggioranza degli individui, cosa succede quando si cerca di eliminare i condizionamenti sociali e ambientali, testando l’onestà dei singoli in laboratorio? È proprio quanto hanno cercato di fare Gächter e Schulz, utilizzando un semplice dado a sei facce. I partecipanti ai test dovevano gettare un dado e comunicare il risultato; a seconda del punteggio uscito, o meglio comunicato, ricevevano una ricompensa in denaro: se affermavano fosse uscito 1 venivano pagati con 1 unità di denaro, se comunicavano 3 gli venivano consegnate 3 unità, e così via. Le persone erano consapevoli di non essere viste dai ricercatori e che perciò avevano la possibilità di comunicare un punteggio diverso da quello realizzato. Con un calcolo statistico si è misurata la percentuale di punteggi gonfiati.
Il campione totale era composto da 2.568 persone con un’età media di 21,7 anni e provenienti da 23 paesi e città diversi, da Roma a Vienna a Praga, ma anche Shanghai, Nairobi, Bogotà.
Per ciascun paese di provenienza i ricercatori avevano precedentemente elaborato un indice di diffusione di violazione delle norme, che misurasse la prevalenza di violazione delle regole (denominato Prv), sulla base dei dati 2003 su corruzione ed evasione fiscale. In base all’indice avevano stilato una classifica di onestà di 159 paesi nel mondo. Piccola curiosità riguardo l’Italia: i dati disaggregati hanno mostrano livelli medi di Prv, di controllo della corruzione e di dimensioni dell’economia sommersa, ma c’è poco da consolarsi perché siamo fra i peggiori tra dell’Unione Europea.
Confrontando l’indice di Prv e i risultati dei test, Gächter e Schulz hanno concluso che maggiore era la diffusione dell’illegalità, minore era l’onestà dei partecipanti. In altre parole, “la corruzione corrompe”.
Inoltre, data la loro giovane età, i partecipanti avevano una bassa probabilità di essere stati coinvolti direttamente nei comportamenti disonesti con cui è stato costruito l’indice. I risultati sono quindi coerenti anche con la teoria secondo cui seguire regole e norme è un comportamento culturalmente trasmesso da una generazione all’altra e che norme e istituzioni seguono un’evoluzione parallela. Onestà e disonestà si tramanderebbero insomma di padre in figlio e le società di persone oneste avrebbero la tendenza a dotarsi di istituzioni efficienti, in cui vi sono norme e controlli efficaci contro la corruzione.
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Federica Pezzoli
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