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Dei “Nuovi scenari dell’economia ferrarese e della città che cambia” si è parlato nei giorni scorsi in occasione della presentazione dell’annuario 2014 del Cds. Si è trattato di una prima occasione di analisi del ricco e stimolante materiale raccolto dal Centro ricerche documentazione e studi di Ferrara.
Gli interventi si sono soffermati su tre letture, relative alle più significative cifre locali raccolte dalla statistica, ai tratti urbanistici della città, e a qualche idea per il “che fare”, dopo una panoramica sulle grandezze macroeconomiche di ieri e del breve.
Ecco, di seguito, le cifre evidenziate per l’area ferrarese:
provincia di Ferrara: tasso di disoccupazione 11,1%, il più alto nel nord Italia nel 2012; salito all’11,8% nel 2013;
persi 8.000 posti di lavoro nel 2007/10 e fino a 10.000 ad oggi (di cui 5.000 fino a 44 anni) e nel triennio circa 4.000 giovani a casa dal lavoro;
in 5 anni di crisi ci sono stati 45 milioni di ore autorizzate di Cig;
indici di dotazione infrastrutturale, circa la metà di quelli della regione;
Ferrara la più indebolita rispetto alle altre provincie della regione;
Per secondo è stato sviluppato il discorso sulla città di Ferrara che cambia, evidenziando i nuovi strumenti urbanistici e i regolamenti relativi per poter cogliere i primi segnali di ripresa e favorire il cambiamento urbano.
Infine, terza relazione, il contesto socio-economico e, soprattutto, una proposta articolata in sette punti e che sintetizziamo.
1. attrazione di investimenti esterni con un nuovo marketing territoriale
2. estensione del sistema “duale” tedesco negli istituti tecnici e professionali
3. favorire la “transizione” scuola-lavoro
4. riduzione del debito pubblico
5. individuazione e diffusione di “buone pratiche
6. più risorse per i veri poveri e potenziamento del terzo settore
7. monitoraggio e customer satisfaction nella Pubblica amministrazione e con specifico riferimento al Comune di Ferrara

Credo sia sufficiente questo riassunto per capire che ci troviamo di fronte:
ad una città tutta concentrata su se stessa, anche se con alcune “chance”;
ad una provincia abbandonata e con territori indistinti e slegati dai contesti di crescita;
ad una gioventù “bruciata” e forse senza futuro;
a potenzialità inespresse, con stakeholders ed istituzioni non adeguate a esercitare governance e restie ad attivare strumenti, misure e risorse capaci di far cambiar passo al nostro territorio.
Quello che serve è: rompere la visione murata della città, mettere in rete i punti forti, a corona, dei territori che si collegano al capoluogo, anche con i luoghi di confine e fare sistema di distretti, dalla costa al centese, al rurale/ agroalimentare, da nuove aree attrezzate di nuova generazione al life natura/ambiente/turismi.
Al riguardo, da un po’, si sta sviluppando l’idea di costruire, con strumenti e fondi strutturali una sorta di nuovi “Patti territoriali” e “Contratti d’area”, ma si riscontrano tuttora resistenze, quasi a voler rimanere ancora nell’angolo tra via Emilia e dorsale centrale veneta, una vecchia storia ancora irrisolta.
Se poi perdiamo pezzi di territorio e di storia, se il Castello porterà un museo, se gran parte degli attori mancano ad appuntamenti come questo, un osservatorio importante ed indipendente, allora il tunnel ferrarese sarà sempre più lungo, ancora nel buio.
La luce forse arriverà, ma col rischio che sia troppo tardi: allora non avremo perso solo in cifre, si sarà dissolto una tessuto sociale.
Penso che non lo meritiamo.

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Enzo Barboni



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