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da: Ufficio Stampa Cia Ferrara

L’allevamento a Ferrara è un’attività di nicchia anche se il territorio sarebbe perfettamente idoneo alla produzione. Ma c’è chi va in controtendenza

FERRARA – L’allevamento di bovini a Ferrara, secondo i dati diffusi a fine 2015 da Ara (Associazione Regionale Allevatori) Emilia-Romagna, si ferma a poco meno di 20.000 unità, – di questi circa 6.000 hanno meno di un anno, quasi 10.000 tra 1 e 2 anni e 2.400 sono vacche da latte – una vera e propria nicchia. Dati che – secondo Cia – Agricoltori Italiani Ferrara – inseriscono la zootecnia ferrarese tra le attività meno appetibili dal punto di vista reddituale, contrariamente a quello che avviene, invece, in altre regioni del tutto simili a livello agricolo e territoriale. Certo negli ultimi anni il settore del latte è andato malissimo e quello della carne, soprattutto negli ultimi mesi, è in forte contrazione, tanto che è l’export – in particolare verso la Turchia – a sostenere gli allevatori in questo periodo di crisi. Ma il mancato sviluppo di un settore zootecnico a Ferrara, secondo l’associazione, è una tendenza che è frutto anche di fattori sociali e culturali. A spiegare questo andamento, non solo economico, è un allevatore di Cia Ferrara, Gianfranco Tomasoni, che ha scelto di partire da Brescia per allevare vitelli da carne a Bando di Portomaggiore. «Nella mia azienda – racconta Tomasoni – allevo oltre mille vitelli da carne di razza Limousine, Blu-Belga, Charolaise e Sardo-Bruni, coltivo 160 ettari di mais, orzo e soia per produrre autonomamente i mangimi e ho attivato un progetto di ricerca scientifica per migliorare la qualità delle carni che arrivano sul mercato. Ho scelto di dedicarmi all’allevamento perché nel bresciano la zootecnia è una passione culturale che si tramanda, mentre a Ferrara questa cultura non c’è e l’allevamento è pratica assolutamente poco diffusa. Un fatto che ho sempre trovato strano perché il territorio ferrarese è perfetto per la zootecnia. Ci sono le superfici idonee per coltivare, produrre mangimi e rendere autonomo l’allevamento e ci sono i sostegni del Psr, grazie ai quali ho potuto ristrutturare un’azienda esistente e costruire nuove stalle per consentire più benessere agli animali. Ci sono, insomma, tutte le condizioni per fare allevamento come si dovrebbe, per produrre carni sane e di qualità. Carni che possono essere praticamente prive di residui di farmaci e questo è per me un punto fermo, tanto che ho anche scelto di aderire al progetto Vet Spin che fa ricerca proprio per capire quali sono i tempi di sospensione di farmaci e antibiotici – usati nel mio allevamento solo nei primi mesi di vita del vitello – per far sì che non arrivino nella carne immessa sul mercato. Certo ci sono delle difficoltà note e alcune meno note come una certa tendenza a considerare gli allevamenti luoghi dove gli animali vengono sfruttati. Io credo, invece, che la zootecnia rimanga un’opportunità a patto, ovviamente, chi alleva animali si impegni a farlo in modo etico. E se l’allevamento è etico fa bene agli animali, all’ambiente, alle persone e al reddito degli allevatori perché la carne di qualità viene richiesta dal mercato.»

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