La parola frase ‘Pensiero Unico’ ricorre costantemente nelle rappresentazioni che accompagnano quel che resta di una discussione politica la cui presenza mediatica è inversamente proporzionale alla sua reale capacità di affrontare e risolvere i problemi di vasti strati della popolazione.
Secondo Wikipedia questo termine apparve per la prima volta nel gennaio del 1995 in un editoriale di Ignacio Ramonet pubblicato su Le Monde Diplomatique di cui l’autore era direttore responsabile; all’epoca Ramonet era già un personaggio noto nel mondo della sinistra critica, tra i promotori del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, oggi docente presso la Sorbona, oltre che membro onorario di ATTAC, l’associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l’aiuto ai cittadini, fortemente avversa alle politiche neoliberiste e chiaramente orientata ai valori della dignità umana e della protezione dell’ambiente.
Ramonet definiva il pensiero unico come “la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale”.Attraverso questo tipo di pensiero erano state già poste le basi per accettare culturalmente il primato dell’economia neoliberista sulla politica, e giustificare il successivo dominio della finanza su entrambe.
Questa filosofia, già fatta propria dai governi conservatori di Margaret Thatcher (dal 1979 al 1990) con il celebre “There is no Alternative” (Non c’è alternativa), troverà altrettanto chiara espressione nel meno noto “Es gibt keine Alternativen” (Non ci sono alternative) del cancelliere social democratico tedesco Gerhard Schroeder, dal 1998 al 2005 alla guida di una coalizione SPD-Verdi decisamente collocata verso un progressismo sensibile alle tematiche ambientali.
Su cosa si fonderebbe dunque questo Pensiero Unico al quale né conservatori né progressisti, né destra né sinistra, riescono a trovare un’alternativa? Sempre con l’aiuto di Wikipedia, è abbastanza facile mettere in risalto alcuni assiomi su cui esso si basa.
I ) L’economia di stampo (neo) liberista fondata sulla crescita illimitata (esemplarmente rappresentata dal PIL) è la scienza che regola e governa la società: la politica e tutte le altre scelte culturali tendono in ultima istanza ad essere assoggettate al potere economico.
II ) Il (libero) mercato è il parametro principale che descrive ogni attività umana e ne regola il funzionamento determinandone il successo o l’insuccesso.
III ) Perché la magica mano invisibile del mercato possa risolvere tutti i problemi, è indispensabile che non esistano barriere allo scambio e al movimento di capitali, merci e persone: bisogna pertanto ridurre la presenza dell’intervento statale, eliminando ogni barriera che limiti il dispiegarsi a livello globale delle libere forze dei mercati.
IV ) Tutti i servizi che erano garantiti dallo Stato Sociale (istruzione, sanità, ambiente, pensioni, tutela per i più fragili, etc.) devono essere affidati quanto più possibile all’iniziativa privata e alla legge del mercato che, sola, ne può garantire la necessaria efficienza.
Si coglie in questi assiomi una tonalità che è, ad un tempo, scientifica (il neoliberismo capitalista è la scienza che governa la società mondiale), messianica (alla lunga il dispiegarsi delle libere forze del mercato risolverà ogni problema su scala planetaria) e religiosa (se le cose non funzionano la colpa è di chi si oppone alle benefiche forze del libero mercato, il male che si contrappone al bene).
La critica al Pensiero Unico così difinito era, appunto, critica a questi assiomi e ai corollari che ne derivano; intendeva, cioè, puntualizzare e mettere in risalto la crescente riduzione del dibattito politico sui temi imposti dall’alto da parte di una cultura e di un élite dominante che, già all’epoca in cui Ramonet scriveva, prendeva l’oscura forma di un inquietante Nuovo Ordine Mondiale che andava sostituendosi a quello bipolare, caduto insieme al Muro di Berlino e al comunismo sovietico. La critica concentrava l’attenzione sugli effetti perversi di un capitalismo neoliberista, senza regole ma violentemente orientato ad imporre con qualsiasi mezzo la sua logica di funzionamento a livello planetario; faceva emergere i pericoli insiti in un agenda politica fissata sempre più spesso da soggetti mai eletti e i cui comportamenti si situavano – oggi più di allora – al di fuori di ogni possibile procedura di controllo democratico. Una critica depotenziata man mano che il Pensiero Unico, inizialmente sostenuto da destra (si pensi alle amministrazioni Bush e all’idea di esportare la democrazia anche con la violenza), veniva a trovare terreno assai più fertile a sinistra (si pensi al globalismo progressista della open society così cara al finanziere Soros).
Non a caso le critiche al Pensiero Unico sembrano oggi molto lontane ed inattuali. Se critica onesta ancora esiste essa, appare debole e impotente, anche da parte di quei rari pensatori e di quegli sparuti settori della società civile che si ispirano ancora al paradigma marxiano. Questa critica (da sinistra) è stata infatti squalificata dal Pensiero Unico Dominante e oggi sembra segregata in un angolo buio, dove viene ormai associata al complottismo, alla produzione di fake news e ai vari termini con cui il pensiero mainstream etichetta e si sbarazza di ogni pur lecito dissenso.
Viene allora da chiedersi se, oggi, esista ancora lo spazio per esercitare una critica autentica che possa essere propositiva e costruttiva, se esista ancora quella tensione genuinamente politica che spinge ad esplorare soluzioni alternative, o se, al contrario, la forza del Pensiero Unico e dei suoi assiomi sia tale da assorbire e ricondurre nell’alveo dei propri scopi ogni apparente deviazione; se sia così diffuso e pervasivo da eliminare alla radice ogni ipotesi che non accetta di essere allineata.
Se prendiamo sul serio l’originaria definizione critica di Ramonet per cui il Pensiero Unico sarebbe “la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale”, viene da chiedersi chi siano oggi, in Italia, i sostenitori palesi ed occulti, chi sano i suoi promotori consapevoli e i supporter inconsapevoli; e d’altra parte chi siano i critici e gli oppositori, ammesso che esistano e che abbiano delle idee democraticamente radicate e realmente praticabili.
Che ruolo hanno, rispetto al Pensiero Unico e alla sua possibile critica, i grandi media, televisioni, radio e giornali? Come si posizionano i vari partiti che si contendono il potere in Italia? Come si colloca la Chiesa di papa Francesco? Che significato hanno, alla luce del pensiero unico, le ONG e i vari movimenti sociali che di tanto in tanto riempiono le piazze? Che futuro sta preparando il dominio ormai trentennale di questa potente narrazione? Esistono ancora delle serie alternative a questa prospettiva unipolare oppure siamo davvero, come azzardava nel lontano 1992 il politologo Francis Fukujama, alla fine della storia?
Su queste domande inattuali, credo, sarebbe bello aprire quanto prima una seria discussione.
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Bruno Vigilio Turra
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