Questa è una storia esemplare di poche verità, di cose non dette, di uso interessato dell’informazione e di varia disonestà intellettuale, una storia che forse contiene una morale e un insegnamento.
Inizia poco più di un anno fa quando le proiezioni sugli sbarchi avevano cominciato a fare paura veramente, superando nel solo mese di giugno la quota di 25.500 arrivi. In quei giorni di governo Gentiloni, il ministro Minniti, rientrato d’urgenza dai suoi impegni istituzionali all’estero, attivò un intervento sulla sponda opposta del Mediterraneo con forza tale da abbattere in brevissimo tempo i flussi migratori nel mediterraneo diretti verso l’Italia: secondo i dati UNHCR essi calarono a 11.461 a luglio, per assestarsi poi a poche migliaia mensili: 3.914 ad agosto, 6.291 a settembre, 5.979 ad ottobre, 5.645 a novembre e 2.427 a dicembre. A seguito dell’intervento gli sbarchi passarono da 83.742 nel primo semestre 2017 a 35.717 nel secondo, con una diminuzione di oltre il 60%
Non è dato sapere se l’intervento così risolutivo fosse dovuto ad una presa d’atto dell’emergenza, al mutamento di certi equilibri geopolitici o più prosaicamente ad una valutazione politica realista, che vedeva nel problema immigrazione un tema chiave da affrontare in vista delle future elezioni. Quel che conta è che a fine anno 2017 si registravano 119.459 arrivi a fronte dei 181.436 dell’anno precedente.
Non è ben chiara la ragione di un simile successo che sicuramente si fondava su accordi già firmati in precedenza dal ministro con la Libia ma che, con ogni probabilità, avrà richiesto anche altri tipi di azioni (intelligence? contratti di fornitura? aiuti economici?) per risultare efficace in una realtà caotica come quella del paese africano.
Ma tant’è. Il trend inaugurato dagli interventi di Minniti è continuato per tutto il primo semestre del 2018, confermando il consistente calo registrato in tutti i mesi per i quali sono disponibili i dati UNHCR: 4.189 a gennaio, 1.058 a febbraio, 1.049 a marzo, 3.171 ad aprile, 3.963 maggio, 3.136 a giugno. per un totale di 16.919 sbarchi (praticamente un quinto rispetto a quelli registrati nell’anno precedente). Un dato sbalorditivo se confrontato con i precedenti (non) risultati dello stesso governo e del precedente governo Renzi, periodo in cui l’accoglienza forzata ed imposta sembrava essere diventata un obbligo imprescindibile.
Tale tendenza di per se evidentissima è passata piuttosto sotto traccia fino all’insediamento del nuovo governo Conte, dopo quasi tre mesi dalle elezioni del 4 marzo, per poi riemergere con forza all’attenzione dell’opinione pubblica a partire dalle esternazioni del ministro Salvini e dal lancio dei provvedimenti di chiusura dei porti. A partire da quei recentissimi eventi si è scatenato l’inferno: da un lato manifestazioni pro-migranti, magliette rosse, interventi di intellettuali, religiosi e moralisti vari improvvisamente svegliati alla causa del più nobile umanitarismo, come se, quanto fatto dal precedente governo per fermare (con successo) gli sbarchi non fosse mai accaduto.
Dall’altro tifo pro Salvini, non di rado condito di trivialità e venato di atteggiamenti xenofobi, da parte di coloro che nella migrazione hanno sempre visto un grave problema, come se la diminuzione degli sbarchi fosse dovuta all’impegno del neoeletto ministro e non all’opera del passato governo.
Ovviamente, guerra aperta sui social con l’uso consueto delle fonti più improbabili, accuse feroci, insulti da ambo le parti, qualche considerazione meritevole quanto poco ascoltata, e, soprattutto, l’esplosione virulenta di rancori e veri odii che in non pochi casi hanno fatto ricordare il clima di violenta contrapposizione ideologica che dalla fine della seconda guerra ha attraversato per più volte il paese.
Impagabile poi l’atteggiamento della Francia (causa tra le principali di molti dei disastri che stanno martoriando i paesi Africani dai quali provengono i flussi migratori e prima responsabile della catastrofe libica), paese che del respingimento violento (sul confine italiano) ha fatto una missione e che pure, per bocca del premier Macron, non ha mancato di definire vomitevole la scelta decisa del nuovo governo.
Impagabile anche il tono di alcuni giornali mainstream nostrani che sono riusciti ad additare la Spagna come esempio di accoglienza da cui prendere lezione di umanità (caso della nave Aquarius) dimenticando che questa nazione (che pure può vantare ancora il suo bel muro spinato in terra Africana: la barriera di Ceuta e Melilla) ha accolto negli ultimi 4 anni circa 67.000 persone a fronte delle quasi 650.000 accolte dall’Italia.
Oggi non sappiamo bene come proseguirà questa storia e come andrà a finire: possiamo però essere ragionevolmente certi che, nell’immediato futuro, non cambierà il modo con cui gli eventi vengono costruiti e raccontati dai media; non cambierà il modo con cui le forze politiche proporranno le loro narrazioni né il modo con cui le persone reagiranno a questi racconti.
Ma da questa storia poco edificante possiamo trarre, forse, qualche utile insegnamento.
La strana perdita di memoria o meglio, di connessione con gli eventi passati e con la continuità se non della storia almeno della cronaca, è infatti tipica dei tempi presenti insieme a quell’atteggiamento acritico da ultras (del calcio) che sembra ormai animare e regolare quello che dovrebbe essere invece un avveduto ragionare politico; ammesso ma non concesso che uno scopo della politica sia ancora quello di guardare nel lungo periodo per garantire sicurezza (reale) e prosperità per tutti i cittadini.
Altrettanto caratteristico è l’uso politico delle informazioni (nel senso peggiore del termine), ammesso ma non concesso che i fatti nudi e crudi possano ancora in qualche modo avere diritto di cittadinanza, sia rispetto alle opinioni del momento, sia rispetto alle realtà virtuali costruite ad hoc per raggiungere obiettivi (geo) politici specifici.
Segni evidenti, di una sorta di degrado che sembra colpire le democrazie e le persone man mano che aumentano le possibilità di costruire, diffondere e reperire informazioni grazie alle onnipresenti tecnologie digitali.
Ma si sa, l’arte dell’inganno, la manipolazione delle coscienze, la dissimulazione, la rappresentazione di contesti fasulli, rappresentano da sempre strategie retoriche usate da ogni tipo di potere per influenzare, convincere, obbligare; di questo non ci si deve né stupire né scandalizzare, si deve piuttosto cercare di capire.
A queste retoriche, chi vuole, può sempre rispondere con l’apprendimento, imparando il funzionamento del grande gioco della strategia, esercitando l’arte del discernimento ed avendo l’ardire di mettere in discussione i riti e i miti che vengono dati per scontati nella nostra società.
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Bruno Vigilio Turra
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