Mi avevano avvertito per anni e alla fine, a 31 anni, ho capito che è vero: mi sa che il basso è davvero lo strumento più bello del mondo.
Avevo già suonato uno di quei cosi quand’ero nel mio primo gruppo, circa dieci anni fa.
All’epoca io e il mio socio non avevamo un vero bassista e quindi ci dovevamo alternare noi in quel ruolo.
A volte mi divertivo anche, ma se ripenso a quel periodo capisco che non avevo capito davvero il basso.
Forse non era il momento giusto, di sicuro ero ancora troppo chitarrista – con tutti i lati negativi della cosa – o forse ero insieme alle persone sbagliate, boh.
L’anno scorso però, mi hanno sbolognato un basso e non so perché ma finalmente ho iniziato a capire.
Forse tutti quei miei ascolti ossessivi di McCartney si sono trasformati in una macumba, forse è stata colpa dell’ascesa al cielo di Lemmy ma dentro di me si è mosso qualcosa e da quel momento mi sono trasformato.
Da un po’ di tempo poi due miei amici mi avevano proposto di buttarmi in questa cosa semplice semplice: aggiungere il basso a qualche pezzo in sala prove.
Non tornavo all’interazione in tempo reale fra chitarra, basso e batteria (cit.) da un bel po’ di anni e alla fine, qualche settimana fa, ecco che arriva l’epifania.
Da quel momento ho iniziato a sentirmi dieci anni di meno e a contare i giorni che mancano al giorno delle prove.
Mi sento un po’ scemo ma va bene così.
In fondo, come disse un bassista celebre: una volta al basso ci mettevi l’amico scemo o cose del genere.
Direi che quel bassista celebre ha ragione da vendere per vari motivi.
In primis: mi sono sempre sentito molto a mio agio nei panni dell’amico scemo.
In secondis: è vero, lo stereotipo del basso come “chitarra con due corde in meno” persiste dal 1951.
Ma a me non interessa proprio, io so che con quel pezzo di legno in mano avrò sempre “qualità costante nel tempo” e soprattutto: una testa nuova, una testa diversa.
Mi sento stupido come sempre ma è tutta un’altra cosa perché adesso mi sembra di sentirmi stupido in un modo che sembra avere una propria vaga idea di nobiltà.
E coi tempi che corrono non è poco.
E’ proprio come mi diceva chi mi aveva avvertito, te ne stai lì, in piedi con le tue due corde in meno e fai bum bum bum con al collo quel trabiccolo, la tua postazione è completamente invasa da vibrazioni che ti fanno tremare i piedi e in sostanza è una delle esperienze più psichedeliche che ti possano capitare.
Sotto sotto poi sai che tu, l’amico scemo con due corde di meno, agirai sulle sottigliezze, su cose che magari non si notano immediatamente ma che a un ascolto più attento e/o approfondito, ti si conficcheranno nel cervello a un livello a volte anche solo subliminale.
E in un certo senso questa è una cosa che ho sempre saputo perché se penso alla musica che mi piace non mi viene in mente niente che abbia una trascuratezza o un’approssimazione su quello strumento.
In poche parole: se non mi piace il bassista non mi piace il gruppo.
Persino i Doors, il gruppo senza basso per eccellenza e blah blah blah, dedicavano un’attenzione puntigliosa e particolare a quelle frequenze, sia in studio che dal vivo.
E’ una cosa paradossale, il più celebre gruppo senza basso ha scritto alcune delle parti di basso più belle della storia.
Roba scritta da un intelligentone come Ray Manzarek, il tastierista, che dal vivo la suonava con una mano sola ma in studio, faceva suonare a bassisti intelligentoni quanto lui, tipo il bassista di Elvis.
Gente che su un pezzo come “Riders on the storm” cadeva dal pero perché quelle parti, suonate su una tastiera basso erano una cosa ma suonate su una “chitarra con due corde in meno” diventavano complicatissime.
Ma in fondo forse è davvero questa la bellezza di questo strumento apparentemente scemo suonato da amici scemi: quel coso ti obbliga a capire quando “è il momento” e quando “non è il momento” per certe cose.
Qualche strizzacervelli potrebbe forse dire che prendere in mano un basso, coi tempi che corrono, è un atto politico.
E forse, per una volta, potrei dar ragione a uno strizzacervelli perché è vero: scegliere di dedicare il proprio tempo alle sottigliezze, alle sfumature, al ponderare, allo stare al proprio posto, di questi tempi è davvero un atto politico.
Così, alla luce di questi dieci anni di meno che mi sento sul groppone, penso che forse, paradossalmente, ho solo imboccato la strada della saggezza dopo quella dell’eccesso, illudendomi di essere “younger than yesterday” quando in realtà forse, sono sempre più preda di quella vecchiaia precoce che mi accompagna da sempre ma con in più, finalmente, tanta saggezza e gusto senza latte e senza cacao.
E allora via con uno di quei tanti pezzi che fanno giustizia alla “chitarra con due corde in meno” preso proprio da “Younger than yesterday” e scritto, vedi te, da colui che nei Byrds fu “l’amico scemo” e per come la vedo io, uno dei musicisti più intelligenti nella storia del basso e non solo.
Thoughts and words (The Byrds, 1967)
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