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Ferrara film corto festival

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Le avventure di Guizzardi

C’era un tempo in cui ammiravo la signorina Frizzi instancabilmente come chi abbia riconosciuto i meriti di una persona e non intende poi pentirsene mai. E lei naturalmente essendo insegnante di lingue estere non mi voleva smentire di questo fatto. Per ore dunque curava il ripasso delle mie cognizioni grammaticali entrambi comodamente seduti in un giardino forse non più adesso esistente della mia città. Io potevo anche dirle enormi strafalcionerie senza che lei si prendesse di impazienza o gridasse per la grande comprensione del suo spirito.  

Né passava giorno o due che non giungessi io al luogo dove sapevo trovarla ossia giardino pubblico ma non troppo frequentato recandole tra le mani un mazzo di fiori. Vuoi primule con reseda vuoi rose con altri contorni significanti cioè rispettivamente gioventù con dolcezza e beltà con altri pregi. E lei replicava a me spesso con offerte d’edera significante amicizia quando non con mammole significanti ma per scherzo s’intende pudore di modestia.   

E poi più avanti mi trascinavo a radi passi verso luoghi che non saprei mai dire.   

Io devo cercare la signorina Frizzi.  

Gianni Celati, Le avventure di Guizzardi. Storia d’un senza famiglia, Einaudi, Torino 1972 (poi Feltrinelli, Milano 1994, pp. 9, 44, 116)

Sonetti del Badalucco  

3
Di cosa è marcia questa patria trista? Scritto ad Angri, in casa di Enrico De Vivo, dopo una discussione sul marcio dell’Italia odierna

È marcia per mancanza di vergogna.  
Qui è sempre in cattedra l’imbroglio fino,  
qui vince sempre il cavalier furbino,  
e il perdente si gratta la sua rogna.  

Qui una faccia di bronzo apre il cammino  
guidando il branco al suon d’una menzogna: 
scroscia l’applauso in piazza ed è una gogna  
che azzittisce il modesto cittadino.  

Ah, se ancora di notte lui si sogna  
la fratellanza umana, il poverino,  
dovrà aprire gli occhi sulla sua scalogna:  
muto tra furbi, tra usurai tapino.  

Che patria è questa, che vita in quintessenza?  
Mi sembra il Terzo Reich dell’insolenza.  

6
Prima lezione di tenebre

Solo di tenebre posso dar lezione,
la chiarezza la lascio a chi è più matto;  
non l’ebbi da mio padre in dotazione,  
che assai poco mi lasciò di fatto.  

Il padre affetto da un male al polmone,  
cosa lasciò in eredità a Vecchiatto?  
La pioggia che lo bagna e decompone,  
il freddo che lo gela e rende sfatto,  

le ceneri d’una vaga ambizione  
di trovare chissà dove un riscatto 
dalla mortale umana condizione,  
mentre è nella greve gora attratto.  

Ma gli lasciò poi anche la tendenza  
a viver come tutti d’incoscienza.

Gianni Celati, Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 15, 23

Cover: Gianni Celati  (su licenza Creative Commons)

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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