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La settimana prima di Natale era venuta una grade nevicata nella notte, imbiancando la cittadina di economia avanzata, come la chiamavano sui giornali. Al mattino il traffico nella circonvallazione era bloccato, gli alberi erano così carichi di neve che i loro rami non si vedevano più, e dovunque si udiva il rumore degli spazzaneve che facevano il loro dovere
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Nella cittadina di economia avanzata, un vecchio mendicante chiamato Tugnin dormiva per strada su pezzi di cartone, appoggiato alla grata di un palazzo sulla circonvallazione ovest, la parte più benestante della città. Dallo scantinato saliva il tepore delle caldaie adibite al riscaldamento del palazzo, e il vecchio mendicante aveva preso l’abitudine di dormire su quel marciapiede, facendosi un letto con cartoni da imballaggio. Si metteva dei cartoni anche sopra il corpo, formando una piccola tenda che lo proteggeva abbastanza bene dalla pioggia e dal vento, e deve averlo protetto anche nella notte della grande nevicata. Alla mattina però gli spazzaneve avevano sospinto la neve a cumuli sui marciapiedi, e ricoperto il mendicante sotto i suoi cartoni, con una montagnola di neve diventata subito ghiaccio per il gran freddo che faceva. E Tugnin era rimasto li sotto per due giorni.
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Sono stati gli studenti d’un liceo vicino a ritrovar dopo due giorni un piede del vecchio mendicante. Poi frugando nella neve ritrovavano anche un braccio, e così hanno avvertito la polizia stradale che venisse a prenderlo fuori dal mucchio, credendo che fosse un cadavere. Estratto dalla neve non era un cadavere, però in stato di incoscienza e mezzo morto di freddo, per cui veniva ricoverato da un’ambulanza nell’ospedale maggiore della cittadina.
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Sono venuti a sapere che un vecchio mendicante, ricoverato moribondo una settimana prima, nel pomeriggio s’era svegliato delirando e dicendo che aveva parlato con Dio. Ma i discorsi che faceva erano così sorprendenti, che anche i medici di guardia erano venuti ad ascoltarlo, restando lì senza più voglia di tornare a casa.
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A quanto pare Tugnin diceva che erano venuti degli angeli a sollevarlo in aria tenendolo per le ascelle, e portandolo così in alto che lui aveva potuto vedere la terra molto meglio che da un satellite. […] Questo non si capiva come fosse successo perché il suo racconto era tutto un pasticcio di parole confuse. Ma a forza di guardare dall’alto, pare che Tugnin avesse capito una cosa. Aveva capito che quaggiù tutto cade e crolla, tutto sta sempre crollando a pezzi, tutto viene giù come la pioggia, senza che ce ne accorgiamo e anche le cose solide come un sasso o un muro stanno sempre disfacendosi in polvere, senza che ce ne accorgiamo.
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Poi c’era l’altra parte della visione, in cui Tugnin si incontra con Dio. Secondo il discorso di Tugnin, Dio era uno di poche parole. E in sostanza avrebbe detto che lui se ne frega… perché non può mica correre dietro agli uomini per convincerli che loro si credono furbi e invece sono solo dei poveri coglioni. Facciano pure quello che gli pare, avrebbe detto Dio, con le loro banche e le loro macchine e i giornali e la televisione, lui non voleva saperne più niente, perché gli uomini sono diventati troppo seccanti, e ormai non se ne poteva più di loro.
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Mentre il funzionario della televisione urlava al telefono con la ragazza dai capelli ricci, l’ospedale era attraversato da una ventata di eccitazione che si spandeva in tutti i reparti. Medici e infermieri e degenti parlavano animatamente del fatto che il mendicante Tugnin era uscito dal suo delirio. Aveva smesso di biascicare confusamente delle stranezze a occhi chiusi, ed era sceso dal letto. Poi, appena sceso dal letto, aveva incominciato una predica religiosa su Dio e sul mondo, mescolata però a forti bestemmie.[…] Ma siccome in quel momento passava nel corridoio una dottoressa cardiologa dell’ospedale, il povero Tugnin aveva colto l’occasione per spiegare a lei più precisamente la conversazione avuta con Dio e il motivo delle bestemmie.
Dio gli aveva confessato che non gli importava più niente degli uomini, perché in genere erano diventati così coglioni, stupidi, mafiosi, ignoranti, senza fede e poco di buono, gente che non capisce niente ma si dà l’aria di sapere tutto, che lui, Dio, si era proprio stufato di aver a che fare con bestie così false e presuntuose. Dunque la bestemmia era legittima e anzi era giusto bestemmiare per sfogarsi per il nervoso, visto come stava andando il mondo, caduto in mano alla feccia dell’umanità.
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Qui Tugnin s’è fermato traballando un po’ sulle gambe, ma sorretto dalla dottoressa con aria comprensiva e benevola, e guardandola fissamente negli occhi le ha spiegato la cosa più importante di tutte.
Ha detto che Dio aveva abolito tutti i premi e le ricompense per i buoni, perché era stanco di quella gente che vuol fare bella figura e fare carriera anche nell’aldilà. Dunque aveva abolito il paradiso, e adesso uno doveva pensare con la sua testa senza aspettarsi più niente, e senza fare tante finte di bontà. Al posto del paradiso, diceva, come consolazione c’è la bestemmia, che però indubbiamente non è la stessa cosa. Ma almeno la bestemmia non mostra falsità del cuore di tutti quei disonesti mafiosi senza fede, che fingono di voler fare del bene e fanno solo i loro interessi, come gli amministratori della cittadina di economia avanzata, o quei mascalzoni mandati in parlamento a governare l’infame nazione italiana.

Gianni Celati – Tratto da: “Non c’è più paradiso”, sta in Cinema Naturale, Milano, Feltrinelli, 2001

Cover: Campo sotto la neve in Brianza, foto di Ambra Simeone

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Redazione di Periscopio



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