Celati forever (13):
cosa insegna Bob Dylan a noi scrittori fuori standard
Tempo di lettura: 2 minuti
Brighton, 22 aprile 1993
Caro Daniele,
oggi ho riascoltato le prime canzoni di Bob Dylan, ed erano così convincenti, così belle e piene di pensiero, così immaginative e al tempo stesso contenute, compatte, chiuse in sé – che mi sembrano quasi un miracolo. E allora ho pensato come, per noi che cerchiamo di scrivere, e di scrivere con una voce che non sia quel modo standard di fare i toni secondo le regole, ma invece di scrivere con un tono che sia nativo e non forzato – ho pensato che straordinaria lezione di voce e di toni siano le parole di Bob Dylan.
E poi anche le storie nascoste, gli sfondi accennati, i personaggi: non è sempre una immaginativa di campagna, cioè campagnola e poi questo aprire ai grandi spazi, con le figure del giorno campagnole (la strada, il gallo, il vento, il fiume, la casa isolata), che fanno immaginare lo spazio e il tempo meglio delle figure di città. O almeno, è come il luogo dove tutto nello spazio e nel tempo ha un gusto di cosa singolare, unica, non in serie – e questo gusto è il gusto fondamentale campagnolo di quelle canzoni: il gusto della solitudine assoluta.
Mi sembra che noi possiamo imparare da Bob Dylan anche a tenere questo strano equilibrio tra la cosa immaginativa e quasi pazza, comunque strampalata nel modo in cui presenta le cose a ruota libera, e poi invece la compattezza del testo e del racconto dove tutto si raccoglie attorno a poche note chiave. Sì, io penso alla narrativa solo così (è forse il mio limite): come una cosa che si canta, e il racconto come un modo di cantare dei luoghi o delle figure che ti stanno a cuore.
Caro Daniele, ti volevo comunicare questi pensieri su Bob Dylan. Spero che tu riprendi il lavoro, e che riesci col tempo a portare a termine in modo soddisfacente il tuo libro. [4] Quando torni dobbiamo farci delle letture e darci degli incoraggiamenti a vicenda.
Per ora un abbraccio
Gianni
P.S. Quando avrai deciso se resti in Irlanda l’anno prossimo o no, fammi sapere. Io torno in Italia il 10 o 19 maggio. Volevo dirti che se lì, quando tu non ci sei più, volessero un tuo sostituto temporaneo – beh, ci sono io (devo trovare del lavoro, qui o in America, perché le cose finanziariamente vanno malissimo). Ne riparleremo.
Gianni Celati – Dieci Lettere a Daniele Benati (1993-1998). Tratto da: Griseldaonline, .
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