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C’è da togliere un punto ma all’ospedale di Cona manca la pinzetta

Articolo pubblicato il 17 Giugno 2014, Scritto da Gianni Venturi

Tempo di lettura: 5 minuti


Avendo appena concluso il Trittico di Cona e avendo promesso che non avrei ulteriormente insistito sui problemi, temi, situazioni del maggior nosocomio ferrarese, il tempo, il caso, il destino mi riportano in quel luogo poco amato per un’ulteriore vicenda alla fine della quale era necessario trovare giustificazione e titolo. Mi soccorre dunque alla memoria une famosa tetralogia scritta dal grande Lawrence Durrell ( 1912-1990) che, riporto da Wikipedia, consta di “una serie di romanzi detta «Il Quartetto di Alessandria», composta da quattro romanzi (Justine, 1957; Balthazar, 1958; Mountolive, 1958; Clea, 1960) ambientati in Egitto, dove ha raccontato la stessa storia d’amore, di politica e di perversione, da quattro punti di vista diversi, per dimostrare che non solo la verità è relativa, ma la stessa personalità umana è inafferrabile ed esiste solo in funzione dell’osservatore.” Detto fatto m’immagino La tetralogia di Cona come parodia dei romanzi di Durrell, ma in fondo cercando di mettere in luce quei diversi punti di vista, fondati nella consapevolezza di vivere “sullo sfondo di una società in disfacimento”, come recita l’analisi di questi romanzi.

Lietamente contento che i temuti e catastrofici temporali promettano di risparmiare la festa matrimoniale dell’ultima nipote nubile (Ah che goduria tecnologica lo svolazzo del dito su meteo.it!) mi sveglio con un tremendo fastidio all’occhio destro che non passa nonostante la folta schiera di collirii sempre a disposizione dopo l’infelice doppia operazione della cataratta, A questo punto scatta il panico: come posso partecipare all’evento –meditavo- con quel “dolor”? Avrei potuto, vagheggino d’antan, propormi con un paio di scarpe bicolori bianche e blu degne di un museo che ho ereditato dallo zio generale, medaglia d’oro e che superando ormai gli 80 anni di confezione ( la gloriosa Zenith!) avrebbero testimoniato dei capolavori artigianali della nostra città? Mi sembrava improbabile.

Nel frattempo il “dolor” aumentava e rassegnandomi all’agonia dell’attesa, sbarco al Pronto Soccorso, accompagnato da un nipote che, tra comprensione per il male di “crazy uncle” ( così è il nome che mi ha affibbiato decenni fa) e curiosità dei miei commenti, sacrifica al riposo dei giusti la testimonianza dell’evento. E per un attimo il cuore s’apre alla speranza. Superata la soglia dantesca del Pronto soccorso metaforicamente consegnato all’abusata formula del “Lasciate ogni speranza ( di far presto) voi ch’entrate” sono ricevuto con un grazioso sorriso da una abbronzatissima e bellissima addetta al Triage che con nonchalance mi chiede la carta sanitaria e mi domanda i sintomi del male. Confuso e male in forma rispondo d’aver l’occhio destro bruciante e gonfio. Mi porge un foglio e leggo la sentenza che fa crollare ogni speranza: codice bianco! A chi -fortuna loro- non sapesse cosa significhi l’esser un pària del Pronto Soccorso, l’ho saprà solo se avrà in mano il codice bianco che presuppone “forse” malattie inesistenti o fissazioni del paziente il quale, in ogni caso, viene relegato agli ultimi posti dopo l’esaurirsi di ogni altro controllo del male codificato dagli altri colori: verde, giallo, rosso. Malinconicamente penso di tenermi e gonfiore e bruciore anche perché dopo un’ora la fatidica porta dell’ambulatorio non s’apre. Nel frattempo col nipote si passano in rassegna le cronache del nostro lungo viaggio assieme negli anni che stanno per trasformarsi in storia: la storia della nostra famiglia. Improvvidamente dalla Svizzera mi telefonano per prendere accordi sulla mia partecipazione al convegno ( c’è sempre un nesso tra allegoria e simbolo visibile a noi studiosi di Dante nel Nome), convegno che si titola Les Folies en Europe dotta e coinvolgente avventura tra le “follie” che nel tempo gli uomini disseminano nei giardini per avvicinare improbabili momenti della storia di ogni tempo e i poemi che ne sono causa: dal giardino d’Armida di Tasso alla Hypnerotomachia Poliphili, da Dante interpretato nel giardino di Bomarzo, all’Isle des peupliers dove riposa Rousseau. Ma, sciagura!, ben altra follia stava per riversarsi sull’occhio bruciante.

S’apre finalmente l’uscio proibito e esce LUI, l’artefice del mio destino oculare, che si scusa davanti a prefiche e brontolii cupi dei possessori di codici e rassicura che avrebbe “fatto” tutti: con pazienza. Aspetto un’altra ora poi esitante e umìle ( un aggettivo dantesco fa sempre fico!) espongo il mio caso al medico che mi guarda e sentenzia “ Ma è uscito un punto della cataratta! Glielo tolgo subito” Rinfrancato e baldanzoso, accolto da una gentile giovane dottoressa a cui non mi par vero di raccontare l’appuntamento matrimoniale del pomeriggio, porgo la fronte all’apparecchio che m’avrebbe tolto e spine e bruciori. S’appresta il medico alla bisogna quando vedo spandersi sul suo viso ( a 10 centimetri dal mio) imbarazzo e sconforto: “Purtroppo ho finito le pinzette adatte a togliere il punto furiuscito a causa dell’Intervento eseguito precedentemente. Avevo in dotazione QUATTRO PINZETTE STERILIZZATE, ma le ho tutte usate! Può tornare domani lunedì pomeriggio?”
Ricordando mentalmente il glorioso motto CHE FARE? tento di tenere comportamento dignitoso e di ricacciare dentro gli insulti all’organizzazione ospedaliera, a Cona, all’Asl o come diavolo si chiama. Rispondo chinando la testa e dicendo che non andrò a quell’appuntamento, sperando di trovare in altri ospedali la pinzetta introvabile e rassegnandomi a bruciar negli occhi al matrimonio della bella nipote. Ci guardiamo e…. il dottore ha uno scatto di eroismo. “Mi aspetti qui. Vado a prendere la mia pinzetta personale e speciale che tengo nel mio studio così lo togliamo” E chi non conosce Cona sa che tra Pronto soccorso e studi medici tra andata e ritorno si consumano pedibus calcantibus scarpe per circa due chilometri. Infine dopo un adeguato tempo, eccolo lo strumento d’intervento. In cinque minuti il punto è tolto; esco, mentre una folla di rassegnati di cui non conosco il codice attende fiduciosa che altre pinzette saltino fuori.

Grazie all’eroico medico, qualche ora dopo assisto commosso all’arrivo della nipote avvolte in nuvole bianche, sfoggiando le mie scarpe bicolori ( qualcuno afferma che assomiglio moltissimo a Johnny Stecchino- Benigni), le mie lenti scure da spia che viene dal freddo rivolgendo un grato pensiero al medico e alla sua pinzetta. A proposito il dottore si chiama Roberto Modestino.

A voi concludere la storia e a commentarla, sperando che La tetralogia di Cona non diventi un laico Pentateuco.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani