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Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


di Queequeg

Quel gran genio del mio amico / Con le mani sporche d’olio / Lui saprebbe cosa fare

Che popolo strano che siamo, sempre a cavallo tra l’anarchia e l’autoritarismo, sprezzanti e allo stesso tempo attratti da ogni forma di potere forte. Talmente disillusi dai difetti delle istituzioni democratiche da essere pronti ad abbracciare qualunque altra illusione.

Ci penso mentre ancora mezzo addormentato metto la moka sul fornello e dò un’occhiata a Facebook. Da qualche tempo c’è un non so che di strano nei post dei miei conoscenti, e non parlo solo della misteriosa sparizione degli juventini. Gli argomenti, in fondo, sono sempre quelli: sport, tette, caricature di Renzi e invettive contro gli extracomunitari. Ma c’è dell’altro, ne sono sicuro. Deve essere quella faccia magra e incazzata che fissa trionfalmente gli obiettivi dei fotografi, con i suoi occhi azzurri e freddi come la Siberia. No, purtroppo non è la Sharapova. È zio Vlad, ragazzi. Vladimir Putin in tutto il suo virile e virale splendore da social network.

Mentre preparo il secondo caffè ho modo di vedere come il nostro beniamino ha passato il fine settimana: Putin alla partenza del gran premio di Formula 1, Putin che abbraccia Hamilton dopo l’arrivo, Putin che di notte sale le scale dell’albergo assieme a cinque giovincelle da capogiro, tutte palesemente sbronze.
Signore e signori: abbiamo un vincitore.

Il maschio mediterraneo è in estasi di fronte a cotanta virtù e si è già messo all’opera. Nel giro di due minuti mi passano davanti agli occhi tre fotomontaggi uguali e spietati: da una parte il nostro Matteo Renzi in spiaggia, con l’espressione da pirla e la panza che esce dal costume, dall’altra Putin che corre in un bosco di conifere con anfibi, pantaloni mimetici e pettorali ben in vista. Sotto, a caratteri cubitali: “E voi da chi preferiste essere difesi?”.

Vabbè dai, allora vi piace vincere facile. La considerazione ovvia è che mica ci devono andare loro due, al fronte. E talmente ovvia che, se la dicessi a chi ha pubblicato l’immagine, mi guarderebbe scuotendo la testa. Ma allora perché questo proliferare di pagine per fan, di gallerie fotografiche, addirittura di gruppi che chiedono un “Putin italiano” per raddrizzare questo paese? La risposta altrettanto banale sta nell’idea che ci siamo fatti sulle sue politiche: forti, efficienti, rapide, decisioniste, refrattarie a ogni compromesso. Aggettivi che calzano a pennello sia all’uomo che alla nazione che guida. Aggettivi egualmente validi quando Putin si allena a petto nudo nel bosco e quando gli aerei russi bombardano in Siria.

Allora forse dopo il secondo caffè capisco un’altra ovvietà, e cioè che tutta questa virilità; viralità sul web di zio Vlad non che è una grande metafora, fatta per chiedere ai nostri governanti di tenere la schiena più dritta, di non prendere ordini dall’Europa, di non lasciarci schiacciare e condizionare dalle minoranze, di difendere la nostra cultura. Cose di questo genere. Ma, incapaci di strutturare questi concetti attraverso riflessioni autonome e in un qualche modo ‘a priori’, molti nostri compatrioti cercano una soluzione in mezzo ai menu proposti dai telegiornali, pescando di volta in volta la faccia, il partito o la nazione più adatti e performanti. E in questo caso – pensa un po’ che fortuna – Putin ce li offre tutti e tre.

Pessimo modo per riflettere sui sistemi politici, se volete la mia. Ci si abitua a ragionare per modelli preconfezionati perdendo di vista i concetti di base. Ci si abitua a confondere i principi e i diritti con la declinazione che hanno avuto in un certo luogo e in un certo periodo storico, con gli accidenti che li hanno accompagnati e con i sostenitori più o meno disinteressati che hanno avuto. Come se riflettere sul concetto di libertà avesse qualcosa a che fare con un ritrovo del Popolo della Libertà, come se il diritto all’autodifesa c’entrasse qualcosa col collezionare fucili d’assalto in camera da letto. Se non si sta attenti, la storia ci mette davvero poco a sporcare i concetti.

Nel marasma che ne viene fuori, scopro che sempre più persone vedono in Putin una sorta di nuovo baluardo in difesa dell’occidente contro i deliranti progetti jihadisti dell’Isis. Ma dai? Come al solito, e soprattutto quando c’entra la politica estera, la nostra analisi di fatti e personaggi storici non è più approfondita di quella sulle nuove offerte di telefonia: quello che ci fa comodo lo teniamo, il resto può essere placidamente ignorato e dimenticato. Troppo difficile, e comunque non ci riguarda.

Peccato che, proprio in mezzo a questa parte superflua, ci sia anche il vero motivo per cui Putin scende in guerra in Medio Oriente, e non consiste certo nel giocarsela con Gianni Morandi a follower su Facebook. C’è chi è più competente e lo scrive meglio di me, come Bernard Guetta su Internazionale: “Impegnata al fianco degli sciiti, la Russia ha messo piede in una guerra di religione che cova da tempo in Medio Oriente ed è stata riattizzato immediatamente dal suo intervento”. Segnatevi questa frase, perché stiamo finalmente arrivando al punto decisivo: non c’è nessuna guerra all’islamismo radicale nella politica di Putin, nessun tentativo di dare al Medio Oriente l’unico insegnamento di cui avrebbe davvero bisogno: libera Chiesa in libero Stato.

C’è solo la volontà utilitaristica di sostenere i propri alleati sciiti nel settore: il regime siriano di Bashar Al Assad e, prima ancora, la teocrazia degli ayatollah iraniani. E per raggiungere questo obiettivo l’ostacolo non è rappresentato solo dall’Isis, ma anche dalle forze ribelli democratiche e laiche (o almeno le poche ormai rimaste in vita), dai kurdi e da tutti i sunniti – ovvero la stragrande maggioranza del mondo islamico – che si metterà di traverso. È a tutti loro che sono indirizzate le bombe di Putin, che solo in alcuni casi finiscono per cadere anche sugli odiosi tagliagole dell’Isis.

Qui non si va a stabilizzare proprio nulla, se non l’umore e le coronarie di Assad. Si va a solo ad alimentare quella montagna di tensioni etniche, religiose e culturali che da secoli fanno da base agli scontri tra sunniti e sciiti, e di conseguenza a tutti i casini e le tragedie in Medio Oriente alle radici della tanto temuta ondata migratoria. Si vanno anche ad alimentare le motivazioni stesse che giustificano l’esistenza dell’Isis visto che, come dimostra la clamorosa documentazione pubblicata da Cristoph Reuter su Der Spiegel (da leggere assolutamente), il primo obiettivo dello Stato Islamico non sono i cristiani in occidente, ma i musulmani sciiti in medio oriente. Alla faccia dei nostri discepoli Salvini, ancora convinti che i fedeli dell’Islam siano tutti fatti con lo stampino e, un po’ come le anguille di Comacchio e gli uccelli migratori, abbiano come unico obiettivo della vita quello di solcare il Mediterraneo e sbarcare sulle nostre coste.

Quindi, in definitiva, che dire? Qualche giorno fa in libreria ho visto un nuovo libro di Vittorio Feltri dal titolo agghiacciante: “Non abbiamo abbastanza paura”. Cristo santo Vittorio, hai proprio ragione: non abbiamo abbastanza paura. Ma non dell’Islam, degli sbarchi, dell’ebola o di quei 12 disperati che dormono al Palazzo degli Specchi attirando i sit-in della Lega Nord. Non abbiamo abbastanza paura di chi ancora oggi, dietro all’alibi della guerra allo Stato Islamico, ne approfitta per giocare con gli equilibri di interi continenti, con la vita di milioni di persone, con il futuro stesso di una religione ogni giorno più lontana dal suo Illuminismo. Gente che continua a far finta di risolvere i problemi del terrorismo uccidendo una manciata di estremisti, mentre dietro le quinte ne addestra una nuova e rampante generazione, come è ormai uso e costume da almeno 40 anni.

E poi ho paura, ma forse non abbastanza, anche dei miei compatrioti italiani, che proprio a questa gente dedicano fan club, pagine Facebook e tutti questi ottusi fotomontaggi comparativi che confondono politica e addominali. Italiani dalla mente talmente offuscata dal rancore e dalla disillusione da aver ormai abbracciato il più stolto dei precetti: il nemico del mio nemico è mio amico. E lui intanto, lo zar, se la ride sotto ai baffi: per fare gli interessi privati della Russia occorre abilità, e lui ne ha in abbondanza. Ma essere addirittura ringraziato e idolatrato da chi ne subirà le conseguenze, beh. Questo – forse – va addirittura oltre le aspettative.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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