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di Andrea Nascimbeni

Questo Natale dell’anno di Grazia 2017 è stato molto triste per me: il primo senza il mio carissimo amico Carlo Bassi, scomparso il 24 settembre scorso. Se n’è andato così, in silenzio, a 95 anni compiuti il 15 settembre. Sommessamente, in punta di piedi – secondo il suo stile – e ha raggiunto la sua adorata Paola nella notte che prelude al giorno senza tramonto. “Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale” “Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit”. (Antifona al Magnificat del 26 Dicembre).

A Natale 2015, mi scrisse un biglietto (autografo) coloratissimo, con le foto dei fiori di Paola e le parole “……son fiorite/due volte,/quest’anno,/le azalee della Paola/AUGURI CARISSIMI/Carlo”. E lo scorso anno: “…/ho scoperto/nascosti in una busta/questi due scatti/d’antan/ vecchie immagini di tempi felici,/ Voglio mostrarli/perché documentano/i miei amori più grandi./Paola e l’architettura/Paola e la poesia/Paola e Ferrara/Paola e i diamanti/del palazzo/di Sigismondo./Paola….”. Di fronte a queste parole, così semplici e al tempo stesso, così profonde, disarmanti, si rimane attoniti, stupìti, commossi. Sono parole che appartengono al lessico di Carlo, al suo stile, alla Sua cifra umana. Un legame avvincente, quello con la sua Paola che ha sfidato il tempo: lui, architetto di vaglia e lei, insegnante. Risuonano quasi magicamente, i versi di Franco Fortini:
“Qui siamo noi due, qui giunti per ora/ recati dal tempo: tu ancora/ confidi nei giovani anni/ e nella leggera figura/ quand’eri sui compiti ancora./ stupìto ti guardo che vivi.”(A mia moglie).

Ma un legame forte anche con la sua Ferrara.
Che Ferrara fosse bella, Carlo Bassi ce l’ha sempre detto! Nei molteplici frammenti di un discorso amoroso – per dirla con Roland Barthes – Carlo non perdeva occasione per magnificare la città dalle cento meraviglie, in cui era nato 95 anni or sono e nella quale ritornava appena poteva, con la purezza d’animo di fanciullo, con l’incanto di chi contempla, ma con lo sguardo acuto e sapiente dell’urbanista. Occhio e cuore, sempre nuovi, consentivano a Carlo questa nuova impresa: “misurare – sono parole sue – il fascino persistente che segna quella che per me è sempre una mitica realtà urbana, dopo tante vicende e tante sofferenze, anche recenti che gli occhi che guardano e, purtroppo, testimoniano”.
Lungi dal pensare Ferrara immobile, chiusa nella sua storia, silenziosa e altera, orgogliosa dei grandi vi hanno vissuto, portava il nostro a credere e professare che essa è viva. Che ci si muova nel castrum, nell’addizione di Ercole o in quella di Ciro Contini; che ci si trovi immersi nella sacralità metafisica di via Campofranco, in cui la presenza della figura umana non reca turbamento né distrugge l’aura mistica delle voci angeliche delle Clarisse del Corpus Domini; che ci si perda nelle sue strade, come ci si smarrisce in una foresta, avvolti in quella “bruma luminosa che a Ferrara fascia, ingloba”: poco importa. Si tratta di un vedere col cuore in cui Carlo era maestro insuperabile. Sono emozioni che affiorano sempre, in una trama che permea una vita intera e che la lontananza sublima in una dimensione poetica.

Concludo con questo ‘haiku’: “Negato ogni sbocco il calore mutò il carbone in diamante“. Il diamante è carbonio allo stato puro. In queste parole sembra di scorgere tutta la forza con cui Dag Hammarskjöld ha saputo trasformare la sua solitudine, il suo vedere un orizzonte chiuso nella propria vita in una potenzialità. Quando ci vediamo messi all’angolo, impossibilitati a trovare uno sbocco all’infuori di noi stessi, siamo portati a rendere nella sua purezza essenziale quello che noi siamo. Purtroppo vale per il bene come per il male, ovverosia possiamo anche cristallizzare il male che c’è in noi. È il gioco della vita interiore, di Hammarskjöld e di ciascuno di noi, di noi credenti che dobbiamo fare i conti con questa missione ricevuta dal Signore. Chiamatela vocazione, chiamatela – mi si perdoni il gioco di parole – chiamata, chiamatela semplicemente risposta a quello che noi siamo. Dobbiamo capire che anche quando ci viene negato ogni sbocco, in realtà le risorse, le possibilità per trasformare il negativo della nostra vita in qualcosa di estremamente positivo – “il carbone in diamante” – non ci è tolto, anzi, forse ci è facilitato da questo sbocco che manca. E’ Sempre Franco Fortini che parla:
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade
. (lettera).

Accadeva il 24 settembre 2017 a Carlo Bassi.

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Redazione di Periscopio



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