L’INCHIESTA
Carife vestita di nuovo lascia lo sporco sotto il tappeto dei ferraresi
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Attualmente sono due i temi oggetto di polemica a Ferrara: l’albero di Natale in vetro di Murano che campeggia davanti alla Cattedrale e la “nuova” Cassa di Risparmio di Ferrara. Due simboli di una città che si adatta – volente o nolente – a un cambiamento necessario, non per esigenza di popolo, ma per decisione di altri.
Tralasciando l’albero e il gusto estetico di ognuno di noi, parliamo di Cassa di Risparmio di Ferrara. Per chi non la conoscesse è stata la banca della città e del suo territorio dal 1838 (114 anni, mese più mese meno), aveva sedi e filiali nei capoluoghi di provincia dell’Emilia Romagna e del Veneto, oltre che a Mantova, Milano, Roma e Napoli. E’ stata co-protagonista della crescita di Ferrara, nel 1976 è stata la prima banca italiana a installare un punto Bancomat, ha dato lavoro a migliaia di persone ed è stata, attraverso la Fondazione che porta il suo nome, partner di importanti progetti culturali della città.
Nel maggio 2013, su proposta della Banca d’Itala, la Cassa di Risparmio di Ferrara è stata commissariata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. “Per gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie che regolano l’attività della banca e per la previsione di gravi perdite del patrimonio”, si leggeva nel documento licenziato dal ministro dell’economia e delle finanze, all’epoca Fabrizio Saccomanni, per “la grave crisi aziendale che trae fondamentale origine dai imprudenti scelte allocative compiute nel periodo 2007-2009 in cui è stata realizzata una rapida espansione degli impieghi”, in un “contesto permeato da una serie di disfunzioni che derivavano dal passato e da elementi che in chiave prospettica risultano suscettibili di ulteriori peggioramenti”. In pratica, i denari messi in circolo dalla Carife erano per la maggior parte a servizio di investimenti privati non redditizi o addirittura fallimentari (tanto per citare un dato, nella sola Ferrara l’istituto aveva 28 milioni di euro ‘parcheggiati’ nelle imprese di Roberto Mascellani, fallite). Questo perché la Cassa, per non dover entrare a forza nel processo di acquisizioni mosso dai grandi istituti di credito e rimanere autonoma, crescendo, si era affacciata su territori diversi e distanti dalle politiche societarie fino ad allora mantenute. Questo espansionismo era andato a cozzare con la visione “ferrarese” delle stanze dei bottoni, legate agli interessi locali.
Da quel maggio 2013, le grosse incertezze rispetto al futuro della banca non sono state mai dissipate e – assieme alla crisi economica congiunturale che ha attanagliato Ferrara – questa situazione ha pesantemente gravato sull’economia generale della città: impiegati in cassa integrazione, tagli, fermi i finanziamenti, fermi i partenariati, fermi i prestiti e i mutui alle imprese e ai privati. Lo stallo. E poi per “la Cassa” dei ferraresi sono arrivati il Bank Recovery and Resolution Directive, il Bridge Bank, la Bad Bank e la Good Bank, il bail-in e il bail-out, per qualcuno anche il bail-over. Alzi la mano chi sa cosa significano questi termini. Per capire, al netto delle polemiche, cosa è accaduto nell’ultima settimana è necessario leggere con attenzioni le comunicazioni della stessa Cassa di Risparmio di Ferrara e della Banca d’Italia.
“La Banca d’Italia, con provvedimento del 22 novembre 2015, ha determinato, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del D.Lgs. 180/2015, la decorrenza degli effetti del provvedimento di avvio della risoluzione della Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a., in amministrazione straordinaria, con sede in Ferrara, dalle ore 22.00 del 22 novembre 2015” .Tradotto in parole povere la Cassa di Risparmio di Ferrara praticamente non esiste più.
“La Banca d’Italia, con provvedimento del 22 novembre 2015, ha disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. (….) (ente in risoluzione) a favore della Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a., con sede in Roma (ente ponte o good bank). Restano escluse dalla cessione dell’azienda soltanto le passività, diverse dagli strumenti di capitale, (….) in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’ente in risoluzione. L’ente ponte succede, senza soluzione di continuità, all’ente in risoluzione nei diritti, nelle attività e nelle passività ceduti (….)”. In pratica gli affari ‘buoni’ della Carife passano alla Nuova Carife, che viene definita “ente ponte” o “buona banca”. La Nuova Carife viene provvisoriamente gestita, sotto la supervisione dell’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia, da amministratori da questa appositamente designati: la carica di Presidente è rivestita dal dottor Roberto Nicastro, ex direttore generale di Unicredit.
“Gli amministratori hanno il preciso impegno di vendere in tempi brevi al miglior offerente, con procedure trasparenti e di mercato, e quindi retrocedere al Fondo di Risoluzione i ricavi della vendita”, dice Banca d’Italia. Il “Fondo di Risoluzione” è un istituto previsto dalle norme europee e italiane ed è amministrato dall’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia. Esso è alimentato con contribuzioni di tutte le banche del sistema.
“Con il decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, il progetto elaborato dalla Banca d’Italia e dal Ministero dell’Economia per il rilancio delle quattro banche commissariate, è stato avviato con decisione ed ha messo a disposizione oltre 3 miliardi e mezzo di capitale. In quest’ambito nasce la Good Bank Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara.” Quindi il capitale della Nuova Carife è supportato da nuova linfa (proveniente in gran parte da un prestito elargito da Banca Intesa, Unicredit, e Ubi Banca. In gran parte…).
E quindi, come per magia, sul sito di Carife leggiamo: “La nostra banca da questa mattina dispone di un capitale fresco di 191 milioni di Euro, l’indicatore Core Tier 1 sta al 9% e siamo dotati a questo punto di ingente nuova liquidità. L’operazione prevede che la Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara venga pienamente neutralizzata dalle sofferenze attraverso il loro conferimento in una Bad Bank. La minaccia di possibili rischi per i nostri depositanti che qualche giornale (e qualche concorrente) aveva paventato è da oggi definitivamente sventata. A breve saremo nuovamente controparte della Bce. La protezione dei depositanti e dei detentori di obbligazioni senior ha poi richiesto da parte dell’Autorità di Risoluzione sacrifici agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni subordinate. Ci pare sia stata una scelta senza alternative, che ha evitato di mettere a repentaglio tutti i depositanti e in ultima analisi di danneggiare gravemente lo stesso tessuto economico dei nostri territori. Da oggi la vostra “Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara” è nuovamente “attrezzatissima” per rafforzare il proprio tradizionale ruolo di banca vicina allo sviluppo dell’economia del territorio”. Tradotto: abbiamo scaricato tutti i nostri pasticci in una specie di sala per la quarantena, la Bad Bank, in realtà priva di licenza bancaria nonostante il nome, dov’è stato ammucchiato il portafoglio crediti peggiore; da qui si cercherà di recuperare questi crediti, il cui valore in euro risulta svalutato del 60% e per i quali è previsto un rientro del 13%. La Bad Bank resterà in vita solo per il tempo necessario a vendere o a realizzare le sofferenze in essa inserite. Per fare ciò è stato anzitutto necessario riassorbire le perdite con l’azzeramento delle azioni e dei prestiti subordinati, quindi sacrifici chiesti ai ferraresi.
L’ultimo capitolo della vicenda Carife si lega alle regole imposte dalla Comunità Europea, come chiarisce la Banca d’Italia in una informativa pubblica. “La soluzione adottata assicura la continuità operativa delle banche e il loro risanamento, nell’interesse dell’economia dei territori in cui esse sono insediate; tutela pienamente i risparmi di famiglie e imprese detenuti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie; preserva tutti i rapporti di lavoro in essere; non utilizza denaro pubblico. Le perdite accumulate nel tempo da queste banche, valutate con criteri estremamente prudenti, sono state assorbite in prima battuta dagli strumenti di investimento più rischiosi: le azioni e le “obbligazioni subordinate”, queste ultime per loro natura anch’esse esposte al rischio d’impresa. Il ricorso alle azioni e alle obbligazioni subordinate per coprire le perdite è espressamente richiesto come precondizione per la soluzione ordinata delle crisi bancarie dalle norme europee (“Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie” – BRRD), recepite nell’ordinamento italiano dallo scorso 16 novembre con il Decreto Legislativo 180/2015”. La Comunità Europea ha infatti decretato che dal 1° gennaio 2016 i salvataggi delle banche non saranno più finanziati dallo Stato, ma dagli istituti stessi (il cosiddetto bail-in), cioè in prima battuta dagli azionisti degli istituti di credito coinvolti, poi dagli obbligazionisti, infine, se necessario, dai correntisti con depositi superiori ai 100.000 euro (al di sotto di quella cifra infatti vige la garanzia sui depositi). Il testo italiano recepisce 56 direttive e 9 decisioni quadro della Ue, andando verso una ulteriore riduzione delle procedure d’infrazione a carico dello Stato.
La Banca d’Italia poi garantisce che “Lo Stato, quindi il contribuente, non subisce alcun costo in questo processo. L’intero onere del salvataggio è posto innanzitutto a carico delle azioni e delle obbligazioni subordinate della banca, ma è in ultima analisi prevalentemente a carico del complesso del sistema bancario italiano, che alimenta con i suoi contributi, ordinari e straordinari, il Fondo di Risoluzione. Questa è la soluzione compatibile con le norme sugli aiuti di Stato che è emersa dopo che altre proposte erano state ritenute non compatibili durante le discussioni con la Commissione europea. Infine le Autorità italiane hanno adottato questa soluzione che ha effetti immediati ed evita il prolungamento dello stallo per le banche, al fine di risolverne la crisi”.
Riassunto: la Cassa di Risparmio di Ferrara fra il 2007 e il 2009 si è impegnata anche i gioielli di famiglia per restare autonoma. Nel 2013 è stata commissariata, nel 2015 è stata vivisezionata e nella prospettiva aziendale non c’è che l’acquisizione da parte di un’altra banca.
A voi lettori le considerazioni del caso.
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Ingrid Veneroso
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