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di Alice Ferraresi

Il ventidue novembre 2016 si è celebrato l’anniversario della prima risoluzione bancaria in Italia, una specie di undici settembre del risparmio tradito. Tra esse figura la (un tempo) “gloriosa” Cassa di Risparmio di Ferrara; in pratica l’azienda più grande del nostro territorio, tra quelle rimaste in vita.
Chi ha deciso questo esito (il Governo e la Banca d’Italia) ha deciso di dare esecuzione brutale e bovina alla direttiva dell’Unione Europea sui dissesti bancari. Nulla, infatti, obbligava a passare di punto in bianco da una situazione di sostanziale impossibilità a fallire delle banche italiane, ad una situazione di fallimento pilotato con espropriazione di risparmi privati. Si poteva, ad esempio, stabilire una fase transitoria e nel frattempo mettere sull’avviso la clientela. Invece no: l’Italia è rimasta inerte per tre anni (la direttiva europea è del 2013) e improvvisamente si è svegliata, decidendo che quattro banche andavano “salvate” a spese dei soldi dei loro clienti.
E’ molto importante capire quale sia, in questa incredibile evoluzione normativamente farraginosa e tecnicamente complessa, il “pasto nudo” (quello che effettivamente abbiamo sulla punta della forchetta prima di mangiarlo, come avrebbe detto William Burroughs).

Le banche italiane che sono andate in dissesto vi sono andate per alcune ragioni, ma una ragione è comune a tutte ed è prevalente: sono rimaste travolte dalle sofferenze, ovvero da crediti dati a clienti che non hanno più pagato.
Secondo un rapporto di Unimpresa (dati aggiornati ad Agosto 2016) in Italia appena il 2,63% dei clienti ha causato il 70% delle sofferenze bancarie. Sul 97% dei clienti passati in sofferenza, pesa solo il 29% circa delle sofferenze, in termini di importi. I crediti maggiormente non pagati sono di importo superiore ai 500.000 euro. Ancor più nel dettaglio: 24 miliardi di euro di sofferenze (il 12% del totale) sono riferibili a 571 soggetti, lo 0,05% del totale. Volendo ulteriormente approfondire e segmentare i dati, si scoprono altre cose interessanti: ad esempio, che questo fenomeno di concentrazione dei prestiti più alti (poi insolventi) nelle mani di pochi prenditori (grandi aziende e grandi famiglie) avviene con particolare intensità al Sud.
Questo stato di cose ha prodotto due effetti: il primo effetto è che tanti buoni pagatori sono stati penalizzati nell’offerta di nuovo credito, per colpa di pochi cattivi pagatori (il cosiddetto credit crunch); il secondo effetto è che il governo italiano, ma soprattutto la vigilanza bancaria, hanno deciso di trasformare dei rischi puntuali nelle mani di pochi privati in perdite diffuse in tutta la popolazione dei clienti bancari – un vero e proprio caso di socializzazione di perdite private.

Come è stato ottenuto questo secondo effetto? E’ abbastanza semplice: quando una banca detiene crediti inesigibili, deve svalutarli prudenzialmente fino al valore di presumibile incasso reale di quel credito (ad esempio, trenta su cento, che vuol dire svalutarlo del 70%). Questa massiccia svalutazione di crediti incide sul risultato di bilancio, provocando una perdita di esercizio, che obbliga a far ricorso al capitale per coprire la perdita. Infine, per ricostituire il capitale assottigliatosi sotto il livello regolamentare, la vigilanza bancaria “obbliga” la banca a ricapitalizzare. Ebbene, la vigilanza bancaria italiana, soprattutto per le banche di piccole dimensioni (ma non solo), ha avallato la scelta di un destinatario principale di queste offerte di capitale bancario: il piccolo risparmiatore. Il cliente da venti, trenta, cinquantamila euro. I cosiddetti “investitori istituzionali”, forse proprio perché istituzionali, quindi avvezzi ai rischi, hanno abboccato molto meno. In estrema sintesi, le banche (soprattutto quelle di piccole dimensioni) sono state spinte, con l’avallo o la pressione della vigilanza bancaria e della vigilanza sulle società quotate in Borsa, a ripristinare il capitale “mangiato” dai notabili da loro finanziati, attraverso il ricorso massiccio agli aumenti di capitale proposti ai nonni, ai pensionati, ai lavoratori a reddito fisso, ai piccoli imprenditori, agli artigiani.

Mi permetto, a questo punto, di tradurre in parole povere i passaggi per far emergere, credo non indebitamente, il “pasto nudo”:
il “patto scellerato” commisto alla peggiore politica, per cui le banche erano il bancomat di alcuni grandi gruppi, ad un certo punto è saltato. Per non far saltare il sistema delle banche si è deciso di scaricare le perdite probabili sulla collettività. Nel frattempo, i responsabili di queste scelleratezze hanno avuto il tempo di nascondere i loro beni al sole – che quindi, non sono più al sole, ma nascosti all’ombra di qualche paradiso.
In tutto questo, giusto per precisarlo: i dipendenti delle banche non c’entrano. Non più di quanto, ad esempio, possono entrarci i dipendenti della Basell nell’inquinamento di Ferrara o gli operai dell’Ilva nell’inquinamento di Taranto, o i giornalisti del Sole24ore nel dissesto della loro società. Questo non perché siano dei meri esecutori robotici, ma perché (salve responsabilità individuali di carattere penale) hanno fatto con il massimo di responsabilità possibile il loro mestiere, avendo delle disposizioni cui attendere ed in perfetta buona fede (lo dimostra il fatto che tanti, fra loro e i loro familiari, sono caduti nella rete dei risparmiatori azzerati). Un effetto collaterale particolarmente odioso di questa “risoluzione” è il fatto di avere messo nel mirino dei cittadini i bancari, e non i banchieri.

Alice Ferraresi è bancaria, avvocato e blogger; svela dall’interno alcuni segreti delle banche, cercando di sfatare alcuni luoghi comuni.

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