I furbissimi profeti della sventura che avrebbe colpito il Ddl Zan sostengono che sarebbe bastato apportare delle piccole modifiche “non di sostanza” per farlo passare. Tipo, non parlare dell’identità di genere. Come se il percorso di definizione del proprio genere fosse uno sfizio, una moda, un vezzo, e non il frutto di una elaborazione tormentata, profonda, dolorosa. Che spesso ti porta ad essere negletto/a in famiglia, al rifiuto sociale, allo scherno, alla violenza. Che stupidi, dicono costoro: bastava togliere questo, e il testo sarebbe passato. Peccato ci siano atti che assumono un valore iconico: il capo dei tattici, dei furbi, di coloro che rimproverano gli altri di essere dei coglioni, era talmente appassionato al destino della legge Zan, da trovarsi, il giorno dell’imboscata parlamentare, in Arabia Saudita, alla corte e al soldo del principe saudita (e mandante di assassinio, secondo ONU) Mohammad Bin Salman, paese notoriamente in prima linea nella tutela delle donne e delle identità di genere. Si tratta di comportamenti che mostrano come stanno le cose in maniera più efficace di qualunque analisi.
“Sappiamo amare anche senza l’aiuto di Dio, grazie tante”.
Ian McEwan.
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Nicola Cavallini
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