Filologicamente, ho imparato a cercare l’origine delle parole, il loro significato culturale e sociale. La facilità con cui nel tempo uno stesso ‘lemma’ può cambiare significato; per ampliamento o restringimento di campo, per uso dovuto ai parlanti, per contesto o semplicemente perché alcuni accadimenti possono far slittare il significato da un luogo a un altro, da un paese ad un altro. I sociolinguisti la sanno lunga, ovviamente è il loro campo. Ma senza entrare troppo in tecnicismi, la foto di questa settimana mi ha fatto pensare anche all’esatto opposto. E cioè, l’uso di diversi ‘lemmi’ per lo stesso significato.
Può accadere durante una lezione in compresenza di una V elementare: la scuola di un paese in provincia di Bologna, un cambiamento di ‘significante’ e non di significato.
Le circostanze. L’arrivo di una bambina ucraina nella classe, e lo studio delle guerre puniche. La parola modificata è stata ‘guerra’, rimpiazzata da una più leggera e quasi giocosa ‘sfida’ con tutti i suoi derivati: ‘guerrieri’ in ‘sfidanti’ ecc. ecc. Non sto a sottolineare la dolcezza del gesto. È facilmente intuibile il motivo per cui la maestra, e tutti i compagni, abbiano voluto dimostrare delicatezza nei confronti di una bambina di 8 anni. Il cambiamento era giustamente motivato.
E mi ha dato modo di pensare anche ad altro. Quanto questa bambina possa superare il trauma della guerra vista con i propri occhi, o della separazione dal proprio paese, dagli amici e parenti, semplicemente non ascoltando più una parola? Non lo so, ma di certo il gesto è stato di estrema empatia nei confronti della nuova compagna di classe. Mi ha colpito, fino a commuovermi quasi.
I cambiamenti della lingua ci insegnano anche tanto altro. Ci insegnano che qualcosa sta cambiando nel pensiero sociale collettivo, mutazioni interne di una cultura e un paese. Purtroppo anche la ‘retorica’ ci ha insegnato fin dai tempi della Grecia antica, che le parole possono essere usate per confondere, persuadere, conquistare un consenso acritico. Accade spesso nei telegiornali e in alcuni programmi, ipocritamente e politicamente schierati. La cosa fa ribrezzo.
Ecco. La delicatezza del gesto scolastico, molto apprezzata sicuramente dalla bambina, per quanto non guaritrice delle bruttezze viste o subite, cozza decisamente con quanto succede viceversa nei tg, dove l’espressione ‘missione di pace’ spesso sostituisce – e occulta – la parola ‘guerra’.
Morale: impariamo dalla dolcezza e delicatezza dei bambini, non dall’ipocrisia degli adulti.
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Ambra Simeone
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