Il Natale è il protagonista indiscusso in numerosi romanzi e racconti: si presenta festoso e leggero, intimistico e sentimentale, sacro e solenne, consumistico e superficiale. Le mille sfaccettature di una festa che comincia ben prima del 25 dicembre ed elargisce i suoi effetti oltre questa data. La festività più attesa dell’anno, che con il cambiare dei tempi si è adattata a nuovi canoni, mantenendo comunque sempre quel tocco di mistero. Ritorna puntuale con il suo carico di emozioni, i suoi riti, le sue luci e i suoi colori che hanno finito col perdere gran parte del loro significato. Le decorazioni in serie hanno preso il posto delle delicatissime e affascinanti sfere in vetro soffiato del passato; le luci intermittenti colorate al posto delle fiammelle delle candeline, il karaoke natalizio invece dei canti che trascinavano anche i più stonati. L’attesa a mezzanotte di Gesù Bambino con i doni – perché di questo si trattava, e non di Babbo Natale – lasciava i bambini col fiato sospeso come se proprio quella notte dovesse avvenire il miracolo dei miracoli. Non è sterile nostalgia o rimpianto per tempi diversi: è semplicemente un’immagine indelebile, che contiene tutto il calore incontaminato di una festa che ha cambiato i connotati.
In ‘Il Natale di Poirot’ di Agatha Christie (1939), tre giorni prima della festività l’anziano Simeon Lee riunisce i suoi figli che non vedeva da vent’anni. Comunica che vuole cambiare testamento, li insulta e li schernisce per divertimento. La sera di Natale si sente un grido pietrificante provenire dal piano superiore della casa e viene rinvenuto il cadavere di Simeon, in una pozza di sangue. Il mitico ispettore Poirot indaga e scopre che nessuno di familiari presenti poteva contare su un alibi credibile. Un intricato giallo come solo Agatha Christie sapeva immaginare e scrivere; una famiglia impegnata in intrighi, segreti, relazioni complesse, che a Natale scopre le sue carte tra eredità, diamanti misteriosamente comparsi, menzogne e, infine, la resa dei conti.
Ben diverso è il Natale che Giovannino Guareschi, scrittore, giornalista e umorista, descrive in ‘La favola di Natale’, nata in un campo di concentramento tedesco, nello Stalag XB di Sandbostel, nel dicembre 1944, dove lo scrittore si trovava internato. L’autore scriveva che le muse che lo avevano ispirato erano Freddo, Fame e Nostalgia. E’ la storia di Albertino, del suo papà prigioniero, della mamma e della nonna, di piccole creature buone o cattive che vivono e parlano in un bosco fantastico. Ma è anche la storia di quegli uomini affamati e sofferenti che ascoltavano il prigioniero Guareschi, in una baracca del lager e ascoltando le letture, mantenevano la speranza del ritorno. L’autore scrisse questa favola rannicchiato nella cuccetta inferiore del misero letto a castello, desideroso di dare voce ai sentimenti del momento, interpretando anche l’angoscia e allo stesso tempo la speranza degli altri. E’ la storia di Poesia, prigioniera nel campo, che tenta la fuga nascondendosi nella gerla di Babbo Natale; dei tre Re Magi illustrati come tre nanetti che sembrano usciti dal cartellone pubblicitario di qualche fabbrica di posate perché reggono come doni una forchetta, un coltello e un cucchiaio; del re della Pace e il re della Guerra; di panettoni che sanno di cielo e di bosco. Ma soprattutto di Albertino che vuole raggiungere il suo papà e gli scrive. “Posta per il nr. 6865! Da quattro mesi il nr. 6865 non riceve posta ed eccolo generosamente ricompensato della lunga, penosa attesa. Perché si tratta di una lettera d’importanza eccezionale, una lettera piena di ricami, angioletti d’oro, stelle di neve e zampette di gallina. ‘Caro papà, è natale e io penso a te…’”.
C’è poi un racconto classico della letteratura americana, ‘Ricordo di Natale’ di Truman Capote (1958), in cui l’autore trasferisce i suoi ricordi più vivi autobiografici di quel Natale in cui, scrive, vuole fissare uno dei pochi momenti felici trascorsi nella sua infanzia. Alla soglia delle festività natalizie, in un paesino dell’Alabama, Buddy, un piccolo orfano di sette anni e Sook, una lontana e anziana cugina pazzerellona creano un legame profondo, lontani dai parenti che mal tollerano la loro presenza in casa. La loro complicità fatta di amore e amicizia è quella che si stabilisce tra abbandonati, emarginati, poveri e soli, ma ricchi nella loro interiorità. Il bambino e l’anziana tagliano di nascosto un abete nella foresta per farne un albero di Natale e impiegano i loro scarsi risparmi per comprare farina, uvetta e whisky per fare il panfrutto, che verrà spedito con semplicità e desiderio di donare anche a Mrs Roosvelt, la moglie del Presidente degli Stati Uniti. Un racconto pieno di calda partecipazione e rimpianto struggente. Alla fine, ognuno di noi trova collocazione in un proprio Natale in cui riconoscersi, sentirsi e rifugiarsi; un Natale che smuova i sentimenti più belli e profondi, che restituisca ricordi sopiti, propositi dimenticati, pensieri e progetti rivitalizzanti per sé e per gli altri. Se non riusciamo a trovare tutto ciò dentro di noi, non possiamo pretendere di trovarlo sotto l’albero. Buon Natale!
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Liliana Cerqueni
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